Confesso di essere rimasto piuttosto sorpreso nel vedere il Rouge et Noir, di fronte all’imponente Teatro Massimo, strapieno di gente per la presentazione del libro di Leoluca Orlando, “Enigma Palermo” (Rizzoli). Una lunga intervista condotta dalla giornalista tedesca Constanze Reuscher. Qualcuno potrebbe dire che si tratta dei soliti orlandiani e di qualche nostalgico. Invece, ho notato l’assenza di chi magari avrebbe dovuto esserci e la presenza di molti sconosciuti.
C’era anche Pif sul palco, sempre efficace nel centrare il cuore delle questioni ma sfacciatamente innamorato del Professore per sua stessa ammissione. Sembrerebbe, se n’è parlato all’incontro, che l’ex sindaco di Palermo sia disponibile a candidarsi con il Pd alle Europee della prossima primavera. Mette, però, subito le mani avanti avvertendo che il dominio nefasto delle correnti potrebbe fare storcere il naso ai notabili del Nazareno non particolarmente entusiasti di avere tra i piedi colui che per antonomasia non conosce padrone e per giunta con considerevoli consensi.
Lancia, quindi, una sfida a Elly Schlein. Come si comporterà la segretaria del Partito Democratico dinanzi a una disponibilità a scendere in campo di Orlando? Ma non è questo il tema che mi appassiona, sebbene ragionare su Orlando in Europa è quasi naturale in forza del robusto credito di cui gode oltre confine e della sua fitta rete di rapporti nel mondo.
Ciò che volevo capire, da commentatore, è quanto ancora Orlando riesca a “rompere”, gridando: “La mafia ha il volto delle istituzioni”, oggi rispetto alla pericolosa deriva che il Paese sta subendo con il governo Meloni, all’inconsistenza del governo Schifani in Sicilia e al grigiore dell’amministrazione Lagalla a Palermo, un sindaco prigioniero dei partiti e, al pari di Schifani, necessariamente legato a Marcello Dell’Utri e a Totò Cuffaro, entrambi sponsor della sua candidatura alla poltrona principale di Palazzo delle Aquile.
Sotto tale aspetto non sono rimasto deluso sebbene stupisca il fatto che debba essere ancora lui, con qualche anno in più, il paladino solitario della legalità, di un’antimafia non di facciata e della buona politica, lontana dalle clientele e dalla sub-cultura dell’appartenenza. Qui, parte il nastro del nervoso ritornello: non ha lasciato eredi, non ha creato una squadra per il dopo rischiando così di disperdere il patrimonio di valori e di cambiamento faticosamente costruito, cosa che probabilmente sta già accadendo.
Una responsabilità, a sommesso giudizio di chi scrive, forse Orlando ce l’ha. Non quella legata al rifiuto di designare un erede, immagine datata e asfittica, ma quella relativa alla mancanza di una squadra, di una scuola politica, di una visione del futuro che non muoia con lui. C’entra poco la distinzione tra capo e leader, una distinzione per Orlando dirimente definendosi un “modesto aspirante leader” e non un capo con dei subordinati.
Onestamente un leader ci pensa al dopo e pone le condizioni per evitare il ritorno del vecchio, delle collusioni, dell’occupazione militare del Palazzo ad opera di corrotti e corruttori. In realtà Orlando è stato un cavallo di razza, un capo popolo, un trascinatore, un eccellente comunicatore senza il difetto del populismo e con un carisma, un bagaglio culturale e un’autorevolezza non comuni, sia nella veste di sindaco che di personaggio politico.
Sicuramente numerose saranno le critiche dei palermitani rivolte all’ultimo mandato di Orlando, eppure con Lagalla, persona perbene, nulla è mutato in città, anzi, i problemi perdurano peggiorati e incancreniti con, in aggiunta, un allarme: rischia di ri-allargarsi la cosiddetta “zona grigia”, quella che si volta dall’altra parte, che non vuole seccature, tanto meno la noiosa evocazione della legalità e dell’osservanza delle regole, a cui piacciono i compromessi al ribasso pur di ottenere una convenienza personale, non importa se a danno della comunità e del bene comune, non importa se a braccetto con loschi figuri.
Un punto va tenuto fermo, e se Orlando ne vuole essere un interprete da protagonista va benissimo, direi auspicabile: non possiamo accettare il continuo attacco da parte del governo Meloni e della maggioranza alla Costituzione, alla solidarietà, ai diritti degli essere umani, dei migranti, al principio della separazione dei poteri e all’autonomia della magistratura.
Così pure in Sicilia dobbiamo unirci al recente accorato appello dell’arcivescovo di Catania, monsignor Luigi Renna: basta clientele, la politica si occupi della collettività e dei suoi drammi. È il momento di un profondo rinnovamento, di una nuova classe politica emarginando chi cerca di riciclarsi. Dipende dagli elettori. Sennò saremo eternamente schiavi del sottosviluppo, dei facili populismi, di scellerati rapporti tra politicanti e mafiosi, immersi nella melma della corruzione, della prepotenza dei boss, della partitocrazia e del favoritismo in luogo dell’affermazione del Diritto e dei diritti.