Lettera aperta al capitano - Live Sicilia

Lettera aperta al capitano

Cosa faremo dopo l'addio di Fabrizio Miccoli? Ricordi in rosa e nero di un capitano dal cuore grande che ama i propri tifosi.

IL PROCESSO ROSANERO
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8 min di lettura

Caro Fabrizio,

appena la notizia del tuo definitivo “addio” al Palermo è diventata ufficiale, questo è stato il mio primo, strano, pensiero: “E ora, quando lo speaker, che annuncia la formazione, urlerà per ultimo un altro nome e non più il tuo, io che farò? Non potrò più alzarmi in piedi e, braccia levate come dopo un gol, urlare a mia volta: “Mic-co-li”. E poi, guardarmi intorno con un sorriso spavaldo perché i colleghi della tribuna stampa si van spifferando nelle orecchie frasi tipo: “Mischinu, ci pari ri iessiri ancora in curva Nord!”. E pensano di prendermi in giro senza neppure immaginare di farmi il miglior complimento possibile, perché io proprio in curva ho imparato a fare il cronista e ad amare, come va amata, la squadra del cuore. E sono amori, questi, che non si barattano mai, per niente e per nessuno ed è così anche per me, pure in tribuna stampa, dove conta di più l’ultimo passaggio prima del gol che il gol stesso. Dove i sentimenti e gli impulsi del cuore vanno frenati, se no la freddezza necessaria per giudicare serenamente una vittoria o una sconfitta verrebbe seriamente compromessa. Ma io, caro Fabrizio, lì in curva Nord ho imparato a guardare il calcio e i suoi protagonisti, al di là del mero fatto tecnico, lo stop a seguire, il passaggio d’esterno, il tiro al volo e mi sono concentrato sul motivo vero per il quale si scende in campo e si gioca una partita: per vincere o perdere (chissà, questo dipende da tante, troppe variabili per poterle prevedere in anticipo) ma sempre dopo aver dato tutto. E anche di più.

Ed è proprio questo che ho subito ammirato in te, mio capitano: l’aver sempre dato tutto in campo, anche se spesso ti sarebbe bastato un affondo dei tuoi, un dribbling dei tuoi, un gol dei tuoi. E poi vivere di rendita per il resto della partita.

Ed è proprio per questo che, fino all’ultimo, ho stentato a credere alla notizia del tuo “addio” definitivo, dopo sei indimenticabili stagioni, 165 presenze, 81 gol e la manciata di record che hai realizzato indossando la nostra amatissima maglia. Perché alle cose che ti fanno male davvero – alle malattie per esempio, che arrivano a sorpresa e ti colpiscono a tradimento – non ci credi perché non vuoi crederci.

Anche se lo sapevi da tempo, te l’avevano detto e ridetto e lo avevi persino lasciato trapelare tu stesso, che: “…Rinnovare? Non è mica detto che lo farò, perché io non sto qui ad aspettare la grazia di nessuno e se non arriva, va bene lo stesso: ci sarà qualcun altro che mi offrirà un contratto. Dico solo che nel mio cuore Palermo e i suoi tifosi rimarranno a vita, perché per sei anni sono stati tutta la mia vita… E non solo quella che comincia e finisce in un campo di calcio…”.

Anche tu resterai a lungo nel nostro cuore di tifosi, sei campionati e tutti quei gol chi può dimenticarli, chi può far finta che è solo roba passata e sterile nostalgia? Io dico nessuno, che abbia veramente a cuore il Palermo, la sua storia, i suoi colori e quello che tutto ciò rappresenta per noi tifosi, anche al di là del fatto meramente sportivo. E quel che sento subito come un impulso irresistibile è il bisogno di dirti “GRAZIE”, a nome mio e naturalmente a nome di tutti quei tifosi che sono certo di incarnare anche da solo, perché io sono come loro, come tutti quelli che da decenni palpitano, si struggono e soffrono – e parimenti gioiscono, esultano e folleggiano – per i colori che tu hai onorato sempre, nella buona e nella cattiva giornata. So che li hai onorati anche da fermo, quando la sorte avversa ti ha relegato a lungo su un letto di ospedale e, appena rimessoti in sesto, hai rifiutato l’offerta-choc strapiena di lusinghe e di soldi, proveniente dalla “Primiere League”, per restare al Palermo e continuare a indossare la fascia di capitano. Quella fascia che altri tuoi colleghi portano al braccio come fosse uno straccetto e nulla più e tu, invece, per averla, hai perfino rischiato di litigare con il compagno-amico che l’indossava prima di te: Liverani. E qualcuno gridò quasi allo scandalo per la tua faccia tosta, si parlò perfino di prepotenza se non di presunzione, si arrivò anche ad accusarti di malagrazia e di malcostume. “Ecco, approfitta dell’assenza forzata del compagno per tirargli questo brutto scherzo!”. Senza sapere nemmeno che tu, prima di chiederla al presidente, quella fascia, ne avevi parlato a lungo con Fabio, spiegandogli le tue ragioni. Senza sapere che Fabio quelle ragioni le aveva subito capite e condivise. Perché il motivo della tua insistenza era solo uno: l’amore per la maglia. “Fabio è stato un signore – spiegasti più di una volta – e ha subito capito che il mio non era un capriccio, né presunzione; che se insistevo per indossare la fascia di capitano era solo per il grande amore che porto alla mia squadra. Insomma, che indossare la fascia di capitano per me è dire a tutti i tifosi che mi vogliono bene che io gliene voglio anche di più!”.

E noi lo abbiamo sempre saputo, perché per te parlano i fatti, cioè i gol, le prestazioni-super fornite anche con … una gamba sola, quella buona, quella risparmiata dalla lesione ai legamenti, perché se c’è il cuore in campo e, con esso, una classe genuina e un talento sopraffino, una gamba sola basta e avanza. Così la stagione precedente a quella appena conclusa tu l’hai onorata con i tuoi sedici gol, quelli buoni per salvarci all’ultimo per il rotto della cuffia. Eppure, al successivo ritiro di Malles dovevi quasi implorare il rinnovo del contratto in scadenza, cosa che non è certamente nelle tue corde di uomo prim’ancoran che di campione e di capitano. Rinnovo che non è mai arrivato, a dispetto delle reiterate promesse, prima di Perinetti, poi di Lo Monaco, poi ancora di Perinetti e perfino – quando era diventato chiaro a tutti che senza i tuoi gol la serie A stava diventando solo un’utopia – del presidente, che in effetti a rinnovarti il contratto non ci pensava nemmeno. Chiunque altro, al tuo posto, avrebbe fatto un passo indietro, tirandosi fuori da ogni responsabilità circa il precipizio nel quale il Palermo stava precipitando, ma tu – infortuni permettendo – ti sei sempre messo a disposizione. Pure partendo dalla panchina e frenando i tuoi fremiti d’orgoglio ferito in modo anche brutale, come alla prima di Gasperini, subentrato a Sannino, che ti ignora, dimenticandoti in panca per tutta la partita, come fossi un ragazzino piovuto dalla “primavera”, in cerca di uno spicchio di gloria. E così la partita dopo e l’altra ancora, finché arriva il Chievo, avversario diretto per la salvezza, e qualcuno – qualcosa – convince il testardo Gasperini a … farti esordire da titolare nel “suo” Palermo. Eri caricato a mille, quella tiepida domenica di settembre, avevi sopportato qualcosa che non ti era mai capitata prima in carriera: essere considerato un peso dal tuo allenatore. Una “roba” dell’altro mondo per te, sempre titolare, mai una partita da riserva, neanche all’esordio vero nel calcio vero, nel 1998, a 18anni, in serie B, nella Ternana. Eppure con Gasperini questo ti è successo e capisco quanto ti abbia fatto male la sua mancanza di stima, di fiducia, di rispetto. Male? O forse bene, visto che la superbia del tuo allenatore ha strizzato a mille il tuo orgoglio e che, una volta sceso in campo, hai ritrovato d’incanto tutti i tuoi colpi migliori, quelli che ti hanno meritato il prestigioso soprannome di “Romario del Salento”. Risultato: 4-1 per noi, quattro gol tutti tuoi, perché anche quello di Giorgi fu tutta opera tua, a lui bastò spingere la palla in rete, dopo quel tuo balletto tarantolato, fatto di scatti e controscatti, di finte e contro finte lungo la linea di fondo. E l’ultimo, addirittura da oltre metà campo. Per non parlare della notte del derby, che tu giocasti praticamente con una gamba sola, ma era il derby e ci tenevi perché a certe partite non si rinuncia, specie se si indossa la fascia di capitano… E fu subito gol, un interno destro sotto l’incrocio dei pali (il tuo centesimo gol proprio contro il Catania!), l’avvio della più bella partita del Palermo, con tutto lo stadio in piedi a cantare per te: “Un capitano… c’è solo un capitano…Un capitanooooo”.

Sono cose che si dimenticano queste, mio capitano? No questi brividi ci resteranno a lungo sotto pelle e a lungo ci riscalderanno il cuore. A cominciare dal prossimo campionato, che sarà strano e complicato un po’ perché sarà un campionato di serie B e molto perché tu non ci sarai.

Con gratitudine e grande affetto.

Benvenuto Caminiti

P.s. La serie B, dopo nove anni di onorata e spesso esaltante serie A, per me e per quelli come me, è un’onta, ma possiede una virtù. Una sola: mi risparmierà la pena di vederti nel mio stadio con indosso un’altra maglia.


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