PALERMO- L’immensità del mondo ridotta a un campo di calcio è Fabrizio Miccoli che trasforma un pallone banale in un capolavoro. Tutta la bellezza del mondo vive in questo vecchio ragazzo che passa una mano sulle ferite e con i piedi riporta il Palermo a boccheggiare nell’acqua più bassa. Un po’ d’aria, per favore. Il resto è una truppa di onesti manovali con un portiere inguardabile, che scalpella e porta mattoni per l’artista. Poi è lui, Fabrizinho, a disseminare stelle sul prato, a baciare il rospo rosanero perché diventi principe in un pomeriggio grigissimo con troppe ali di gufo intorno. E avete voglia di dire che è finito, che ha la sua età, che la schiena non lo accompagna più. Miccoli, chi? Quello che può giocare un quarto d’ora, perché la lampadina non ha smesso di brillare, però i muscoli non lo accompagnano più. Miccoli, che? Il profilo mogio, accomodato in panca, come un antico soprammobile che per bello sarà bello e non serve più nella nuova architettura di scienziati del calcio, con le loro lavagne, con gli schemi e i pennarelli. Malattia collettiva. Infatti, quando entra Kurtic, Juric gli spiega la posizione con tre o quattro fogli che scappano, sospinti dal dio dispettoso della Favoritta, ora Barbera. Il professore insegna. L’allievo lo guarda un po’ stupito, senza dare nell’occhio. Prof, dove devo correre?
Dice che nella serie A Tim non ci sono più campioni. Ibra è andato via. Pastore immalinconisce altrove. Sbagliato: non ci sono più i capitani di ventura che prendono un tot al chilo, cambiano maglia con nonchalanche e ogni volta ripetono: hosempresognatodigiocarequi, mentre il naso si allunga in proporzione diretta con le bugie. E invece eccolo il caro Fabrizinho. Tre a uno, aveva già vinto da solo, conducendo per mano i manovali al primo successo della stagione. Un artista non si accontenta. Palla contesa a mezzocampo. Sguardo a Sorrentino fuori dell’uscio. Micidiale candelotto che si si sfiamma nel bianco della rete. Corsa verso il pubblico. La corsa di un bambino che ha segnato un gol sul campetto polveroso dietro casa.
Un gol così, in un articolo memorabile, lo narrò il grande Gianni Brera. Il prodigio dell’uruguaiano Petrone ai danni dell’intramontabile guardapali Ghezzi. La dea Eupalla amata da Gioannbrerafucarlo ha concesso a noi, contemporanei di plastica, di rivedere un miracolo concepito per l’erba che profuma, i fiorellini al bordo e gli occhi dei romantici. Perciò innalziamo le lodi di Fabrizio Miccoli che ha riportato la poesia di Brera in vita, atterrando nella nostra grigia domenica con le sue immense ali rosanero.