Dal simil-Armao al simil-Figuccia | Tristi finzioni nelle liste elettorali - Live Sicilia

Dal simil-Armao al simil-Figuccia | Tristi finzioni nelle liste elettorali

Garonna e il nome dell’avvocato, le liti palermitane e il 'candidato doppio' e i fratelli Caputo

PALERMO – “Mi manda Armao”, è come se dicesse Piero Garonna. “Non mi somiglia per niente”, scherza Vincenzo Figuccia. Quello “vero”, cioè il deputato uscente. Che sulla linea di partenza delle Regionali troverà al suo fianco un omonimo. Onofrio, ma detto Vincenzo, appunto. Scherzi e giochetti, a uso e consumo di guerre e ambizioni personali. Come se la questione calda delle “liste” fosse solo quella degli impresentabili. Come se queste decisioni, la scelta di calare candidati doppi e nomi “matriosca” non fossero uno schiaffo agli elettori, uno sfottò a chi andrà a votare.

Prendi tale Pietro Garonna che, stando alle note del movimento “Sicilia indignati” è teologo e “segretario politico” di Gaetano Armao. Quest’ultimo, come è noto, ha deciso di non scendere personalmente nell’arena delle elezioni regionali. Non si è candidato in prima persona, in seguito alla mancata presenza all’interno del listino di Nello Musumeci. Una mossa che i detrattori di Armao hanno ovviamente letto in un altro modo. Ossia nella scelta di non misurarsi col voto dei siciliani. E anche nell’assenza della lista dei “Siciliani indignati”, che si è “sciolta” dentro quella di Forza Italia. Insomma, doveva essere il candidato presidente, poi a capo di una lista, quindi candidato in prima persona, alla fine di Armao, come segno tangibile, resterà quel “detto”, oltre ovviamente alla designazione di vicepresidente della Regione e assessore all’Economia.

Gli stessi detrattori dell’avvocato palermitano, gli stessi che hanno spinto perché non fosse lui il candidato alla presidenza, ricordano maliziosamente poi che appena cinque anni fa l’esperienza elettorale di Armao alle Comunali di Palermo, al fianco dell’allora assessore Massimo Russo e del deputato Giovanni Greco, naufragò sotto il 4 per cento, non centrando nemmeno l’accesso a Sala delle Lapidi. E così, quel “detto Armao”, al fianco di Paolo Garonna appare quasi incomprensibile. Il “detto”, infatti, viene usato solitamente per fare riferimento a un nomignolo o a caratteristiche che riguardano il candidato. O, come vedremo, a familiari in politica, per ricordare da dove si discende. Ma Garonna non è parente di Armao. E quel “detto” confonde: i voti ricevuti di chi saranno? Del candidato o di Armao? E in quest’ultimo caso, bisognerà brindare alla categoria del candidato “prestanome”?

Ma in questa commedia delle candidature, oltre al candidato “matriosca”, c’è anche quello doppio. Vincenzo Figuccia, infatti, correrà due volte: una lungo il binario dell’Udc, l’altra lungo quello di Forza Italia. Il motivo? La guerra personale, le palermitanissime liti tra Gianfranco Micciché e il deputato regionale, vertice politico di una intera famiglia in politica. Quasi fosse il carbonaro del Marchese del Grillo, ecco saltare fuori nella lista azzurra, il partito polemicamente lasciato da Vincenzo, tale Onofrio Figuccia. Detto Vincenzo, appunto, a confondere la corsa. “Non mi somiglia per niente” ha scherzato il deputato regionale uscente, rifacendosi a Jonny Stecchino, e alla Sicilia delle banane e del “ciaffico”. E del resto, qualcuno dirà che di “detti” i Figuccia avevano già ferito. Ma almeno, restano nei confini del sacro istituto familiare. Alle ultime elezioni comunali, Sabrina Figuccia pensò bene di associare, al suo nome in lista (anche in questo caso di Forza Italia, manco fosse un marchio di fabbrica), quello del padre. Sabrina detta “Angelo”. Ché il voto, a Palermo, è libero, segreto, ma anche  familiare.

Ne sa qualcosa Mario Caputo, candidato con la lista di “Noi con Salvini” a Palermo. Anche lui, in lista, ha un nome in più, oltre al proprio. E se il “doppio Vincenzo” aveva lo scopo di confondere, in questo caso il “detto” ha l’obiettivo di chiarire. Mario è detto Salvino. Cioè Salvino Caputo. Che sarebbe il fratello, di Mario, ed ex deputato regionale. Prima “vittima” in Sicilia della legge Severino: decaduto, dopo una condanna. Ma in Sicilia si trova sempre un prestanome o meglio, per non offendere i più sensibili, un “porta nome”. Un candidato in franchising. Pronto a esibire un marchio. O, se serve, a contraffarlo.


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