Non ho mai digerito il ritornello di certi pretini e suorine sui “santi che sono come noi” né tantomeno certe nuove iconografie imbarazzanti di santi e beati tra il fumetto e l’arte moderna perché ho sempre pensato ai santi in cima ad un altare, con una bella aureola e con un carico di miracoli e virtù tale da farmi imbarazzare. Il compito dei santi e dei beati non è di farci stare tranquilli nella nostra mediocrità ma di stimolarci ad una forma di vita più alta. Sì, i santi ci dovrebbero sempre imbarazzare se non vergognare di queste nostre esistenze a raso terra o tendenti al compromesso con il difetto e il peccato. Ora non so se la beatificazione del giudice Rosario Livatino è un colpaccio del Papa venuto dalla fine del mondo o semplicemente il frutto del lavoro certosino della Congregazione vaticana per le cause dei santi, o ancora il solito lavoro di quella sapienza millenaria della Chiesa che prima o poi arriva al nocciolo della questione, sta di fatto che il ‘giudice ragazzino’ è un beato così perfetto che fosse per me dovrebbe essere promosso subito santo. Agli onori degli altari senza passare dal via.
La figura di Livatino, così silenziosa, austera e rigorosa è talmente imbarazzante per la Sicilia e i siciliani, sempre più spesso sguaiati e furbi, che più che un santo potrebbe essere un marziano. Studi brillanti e veloci, carriera in magistratura, mai un gossip, una parola fuori posto o caciara mediatica, una fede d’altri tempi e una dedizione alla lavoro fuori dal comune. Livatino non presentava libri, non faceva interviste, non si era iscritto a partiti, correnti o associazioni. E ancora sobrietà in ogni cosa tanto da morire in una umile Ford Fiesta amaranto di sua proprietà. Più penso e scrivo di questo giovane magistrato con la riga ben sistemata tra i capelli, l’abito buono della domenica e il sorriso appena accennato di una foto da prima comunione e più mi viene il voltastomaco per il circo dell’antimafia, per l’esaltazione degli eroi farlocchi, per i gattopardi e le maschere pirandelliane che dalle pagine dei nostri romanzi si sono materializzati sulla scena pubblica siciliana per recitare lo stesso perenne e disgustoso copione.
In tempi di pm d’assalto, maneggioni e influencer ci viene consegnato un magistrato silenzioso che ha fatto solo una conferenza in un salone delle suore e che sulle agende scriveva ‘sub tutela Dei’. Una bella ironia del destino ma con lo sguardo della fede questa è sapienza evangelica per cui ad una generazione malvagia e adultera che pretende un segno viene dato solo il segno di Giona (cfr Matteo 16,4), un profeta che nonostante finisca per tre giorni e tre notti nella pancia di un pesce mostruoso finisce per convertire Ninive, la dissoluta capitale degli Assiri. E chissà che il prossimo beato Rosario Livatino, martire e profeta senza volerlo essere, divorato da quel cetaceo mostruoso che è la mafia non sia il nostro Giona che viene a predicare un ravvedimento per tutti i siciliani, grandi e piccoli.