Lo storico Gaetano Basile:| "Una palla di riso che resiste ai secoli" - Live Sicilia

Lo storico Gaetano Basile:| “Una palla di riso che resiste ai secoli”

L'intervista
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4 min di lettura

Barbera-Basile CariniPer dare una soluzione definitiva ai nostri cocenti dubbi abbiamo chiesto aiuto allo storico palermitano Gaetano Basile, direttore della rivista “Il Pitrè”, esperto di tradizioni popolari e cucina sicilina, che dopo aver fatto un excursus storico, ha affrontato il problema linguistico risalendo alle origini etimologiche del termine.

Per adesso non definiamo il genere, ma limitiamoci alla pietanza. Quando nasce e come è fatta?
“Si tratta di un piatto della cucina araba, fatto di riso profumato di zafferano arricchito di verdure, odori e di pezzetti di carne. Normalmente veniva servito al centro della tavola in un unico vassoio e, come era consuetudine anche dei nostri contadini, ognuno per mangiarne allungava le mani. Un giorno per renderlo da asporto gli arabi ne fecero una palla simile ad una arancia, che impanata e fritta acquistò consistenza, tanto da resistere al trasporto. Inoltre parliamo di una vivanda che non va a male rapidamente e si mangia a temperatura ambiente”.

In origine era ripiena di ragù come oggi?
“Era fatta solo di riso, a quel tempo il pomodoro doveva ancora arrivare dall’America. I primi acquisti della nobiltà siciliana di pomodoro sono datati 1852. Da quella data l’ortaggio diventò un affare entrando a pieno titolo nella cucina siciliana, tanto da poter parlare di un “processo di pomodorizzazione”. Infine diventò uno degli ingredienti principali del ripieno dell’arancina, ma non aveva nulla a che fare con il piatto originale”.

Quindi c’era la carne ma senza pomodoro?
“Alle origini non c’era un vero e proprio ‘dentro’ da essere riempito. L’idea del ripieno nacque parecchio tempo dopo. Una volta ad una festa ho fatto assaggiare alla gente l’arancina primitiva che fu trovata deliziosa anche se mancava il ripieno”.

Oggi tra la Sicilia occidentale e la regione orientale dell’Isola c’è differenza nella forma o nel condimento?
“Sostanzialmente no. Anche se qualcuno per risparmiare sullo zafferano, soprattutto nel Messinese e in provincia di Catania, usa il sugo del pomodoro per colorare il riso. In questo modo l’arancina assume una colorazione e un sapore leggermente diverso. Per quanto riguarda le dimensioni, non esiste una misura standard, normalmente le arancine dovrebbe pesare 200 grammi (fanno eccezione quelle del Bar Touring di Palermo che sono di 280 grammi), ma a onor del vero non è che esista una regola culinaria che ne indichi il peso”.

Bene, passiamo al nocciolo della nostra intervista.
Si chiama arancina o arancino?

“Anche se qualcuno è ancora convinto del contrario si chiama arancina. Si tratta di una palla di riso con la forma e il peso dell’arancia, quindi arancina. Se si fosse scelto il termine arancino avrebbe avuto la forma dell’arancio (l’albero) o di un ramo. L’Accademia della Crusca è stata molto chiara in proposito: il frutto va al femminile, mentre l’albero da cui ha origine va al maschile. Il pero dà la pera, il melo dà la mela, l’arancio quindi l’arancia”.

Ma consultando i maggiori dizionari italiani, abbiamo scoperto che il termine corretto sembra essere arancino?
“Ne sono al corrente, ma è comunque un errore”.

Ma come mai diventa arancino, soprattutto nella regione orientale dell’Isola?
“Alcuni col termine arancino non indicano l’arancina di cui stiamo discutendo, ma quella a forma di pigna, che non si chiama arancino ma supplì. La storia di questo manicaretto è un’altra. Fu inventato dai cuochi delle grandi casate per rendere più appetibile il riso ai rampolli nobiliari che si rifiutavano di mangiarlo. Nasce dal famoso dolce che si chiama “la fava del re”, un cake che si cucina per l’Epifania dove veniva nascosta una fava secca, in seguito d’avorio, d’oro o d’argento, mentre oggi è di ceramica. Il bambino che trovava nella sua fetta la fava diventava re per un giorno. Insomma una specie di arancina con la sorpresa, questa sorpresa, surprise, da noi diventò ‘u supplì”.

Ma si può dire che l’arancina è nata a Palermo o comunque nella Sicilia occidentale?
“Di questo non possiamo essere certi, è un piatto che è nato in Sicilia nel periodo saraceno, quindi che l’inventore si chiamasse Giuseppe o Pasqualino o che provenisse da Catania o Agrigento piuttosto che da Palermo ci è impossibile determinarlo. Era una pietanza popolare, e in quanto tale non possiede un unico creatore”.

Sul Traina, un dizionario siciliano edito a Palermo nel 1860, troviamo arancinu. Come si spiega?
“Preciso che il migliore dizionario siciliano è quello di Vincenzo Mortillaro, che insegnò semiologia della lingua italiana all’Università di Bologna ai tempi in cui era rettore Carducci. Qui troviamo arancinu. A quell’epoca infatti non si era chiarito che il frutto andava al femminile mentre l’albero al maschile. A questo linguaggio ottocentesco comunque bisogna fare sempre molta attenzione. Ad esempio se cerchiamo il termine ‘melanzana’ non lo troviamo perché a quel tempo si chiamava petronciana”.

di Valerio Droga e Giusto Lo Bue

(Tratto da Ateneonline.it)


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