Da una parte c’è l’accusa che deposita i verbali dell’ultimo pentito di mafia e i documenti trovati nella cella di Vito Ciancimino nel 1996, ma solo ora riaffiorati. Dall’altra c’è la difesa che, con l’ausilio di tecnici, passa in rassegna la documentazione consegnata da Massimo Ciancimino e, fondamentalmente, ritenuta un falso. Ma il colpo di scena arriva dall’imputato eccellente, l’ex generale del Ros Mario Mori che fa una dichiarazione spontanea: “Comunico sin d’ora al tribunale che per questo processo non intendo avvalermi della prescrizione che dovesse maturare prima della conclusione del dibattimento”. E’ ripreso così, di fronte ai giudici della quarta sezione penale del tribunale di Palermo il processo all’ex generale, Mario Mori, e l’ex colonnello del Ros, Mauro Obinu per favoreggiamento aggravato a Cosa nostra.
“Meglio avere uno sbirro amico che un amico sbirro“. Parola di Bernardo Provenzano. La “perla di saggezza” del padrino corleonese è stata raccontata ai magistrati palermitani dal pentito Stefano Lo Verso e ora è agli atti del processo Mori. Il pentito ha raccontato come dopo che Provenzano ebbe rivelato la sua identità fosse stato preso dalla paura di ospitare un così importante latitante. Ma il padrino l’avrebbe rassicurato: “Stai tranquillo, io sono protetto da politici e dalle autorità, in passato sono stato protetto da un potente dell’Arma”. Nel luglio 2004, mentre si trovavano a Vicari, Provenzano fece delle “confidenze importanti” a Stefano Lo Verso. La fiducia reciproca e il grado di confidenza era cresciuto e Lo Verso sostiene che Provenzano gli avrebbe esposto quanto accaduto dopo le stragi. “Mi confidò – si legge nel verbale riassuntivo dell’interrogatorio del 6 luglio 2011 – che ‘Dell’Utri si mise in contatto con i miei uomini e sostituì di fatto l’onorevole Lima nei rapporti con la mafia. Per questo nel ’94 a seguito degli accordi che abbiamo raggiunto ho fatto votare Forza Italia’”. Parola di Provenzano. O meglio, parola “de relato” dell’ultimo padrino di Cosa nostra a cui, in quanto garante degli accordi e dei nuovi equilibri, sarebbe stata garantita l’inafferrabilità: una latitanza sicura. Per i pm elementi che si incastrano nell’impianto accusatorio, così come il foglio trovato nella cella di Vito Ciancimino in una perquisizione risalente al 1996. “Per quanto riguarda il piano cosiddetto politico, io d’intesa con i carabinieri sono partito per Palermo il 17 dicembre 1992 per quel contatto concordato. Sono tornato (a Roma, ndr) il 19, lo stesso giorno alle 17,30 ho avuto un incontro col capitano. Lo informai che avevo avuto il contatto e che la risposta l’avrei avuta martedì”. Questo il contenuto del documento ancora in fase di decriptazione da parte degli inquirenti. Chi avrebbe incontrato Ciancimino? Perché specifica il “piano politico”?
I tecnici Di Dio e Marras hanno, invece, supportato la difesa del generale Mori ad analizzare i documenti consegnati da Ciancimino ed entrati nel processo. Le loro conclusioni non si sono discostate particolarmente da quelle della polizia scientifica. Hanno ribadito le ipotesi di falso, molti documenti – in particolare quello indirizzato a Silvio Berlusconi e quello che è costato a Ciancimino la galera – sono “autografi ma non autentici”. Delle “grossolane falsificazioni” secondo i tecnici, “è capace di farlo anche un ragazzino” ha sottolineato Marras aggiungendo che: “Sono facilmente percepibili da chi ha un minimo di conoscenza di fotocopie e informatica”. Praticamente, un collage di pezzi autentici messi insieme e fotocopiati, così da sembrare un solo documento. In particolare la difesa si è concentrata anche sul contenuto dei pizzini presuntamente attribuiti a Provenzano da Massimo Ciancimino. Oltre al fatto che risultano non essere stati scritti con nessuna delle macchine da scrivere trovate a Provenzano, ci sono differenze sostanziali in termini di stile. Così i tecnici hanno confrontato i pizzini portati da Ciancimino con quelli sequestrati – e attribuiti – al padrino corleonese. Differenze di spazi: gli scritti di Provenzano sono compatti, il testo non va mai a capo, e l’interlinea è ridottissima. In quelli consegnati da Ciancimino, invece, il testo va a capo e fra una riga e l’altra c’è spazio. Poi ci sono gli errori grammaticali che nelle lettere di Provenzano sono ripetuti e coerenti (noné, a scanzo, mà, anno) mentre spariscono in quelle consegnate da Ciancimino (non è, a scanso, ma, hanno).