“Ridatemi almeno la lettera sporca del sangue di mio padre”. L’appello di Fabio Lombardo sulle colonne di S era stato accorato. Alcuni giorni fa i carabinieri hanno telefonato al figlio del maresciallo morto suicida. Diciassette anni dopo ha riavuto la missiva di addio che il padre scrisse prima di uccidersi. La Procura di Palermo ha dato il via libera, dissequestrando quelle parole di addio lasciate in eredità ai familiari. Antonino Lombardo si sparò il 4 marzo del 1995, alle 22 e 30, all’interno di una macchina di servizio parcheggiata nell’atrio della caserma Bonsignore.
La consegna della lettera non è l’unica novità. Il figlio Fabio aveva chiesto, tramite l’avvocato Giangiacomo Palazzolo, di visionare il fascicolo che riguarda il padre. Era arrivato un secco no. Sugli atti vige il segreto istruttorio. Ora però di quegli otto faldoni di indagini il legale è entrato in possesso di alcune note dei carabinieri. Che non placano la sete di verità, ma la alimentano. Si tratta infatti dei tabulati telefonici
delle chiamate, in entrata e in uscita, del maresciallo nel periodo compreso fra il 23 febbraio e il 4 marzo 1995. Secondo l’avvocato ci sarebbero delle anomalie. Dai tabulati emerge che Lombardo ricevette 14 telefonate, tra cui molte dall’allora maggiore Mauro Obinu, l’investigatore con cui il 12 ottobre 1995, nel carcere di Memphis, e poi il 14 novembre 1995, nel carcere di Fayrton, Lombardo volò negli States per due due colloqui investigativi con il boss Gaetano Badalamenti. Una sola la telefonata in uscita, quella al capitano dei carabinieri di Carini, Giovanni Baudo, alle 18 e 33 del 4 marzo, poche ore prima del suicidio.
Un tabulato che fa a pugni con la memoria di Fabio Lombardo, il quale dice di ricordare benissimo che il padre in quei giorni era molto preoccupato tanto chiamare spesso casa per avere notizie dei familiari. Di quelle telefonate, però, non c’è traccia. “Non c’è alcun intento polemico nella nostra richiesta di accesso agli atti – spiega l’avvocato Palazzolo -. Vorremmo solo potere ricostruire una pagina importante della storia della Sicilia e del nostro Paese.”
Una storia segnata da quei due colloqui investigativi americani nel corso dei quali Don Tano Badalamenti tirò fuori una storia sorprendente. Dietro la scalata al potere dei corleonesi ci sarebbe stata la Cia e Totò Riina sarebbe stato una pedina dei servizi segreti americani. Lombardo si mise in testa di portare Badalementi in Italia. Voleva che ripetesse quelle frasi nei processi italiani. “Tano Seduto” fissò una condizione per testimoniare al processo Andreotti: che fosse il maresciallo ad accompagnarlo dall’aeroporto. Il 23 febbraio 1995, tre giorni prima dell’arrivo del boss, nella trasmissione “Tempo reale”, condotta da Michele Santoro, Leoluca Orlando e Manlio Mele, all’epoca sindaci di Palermo e Terrasini, mossero accuse pesanti verso di lui, pur senza nominarlo. Due giorni dopo, uno dei confidenti di Lombardo, Francesco Brugnano, fu ucciso e abbandonato nel bagagliaio della sua auto.
Il 4 marzo, Lombardo si suicidò, lasciando una lettera: “Mi sono ucciso – scrisse il maresciallo – per non dare la soddisfazione a chi di competenza di farmi ammazzare e farmi passare per venduto e principalmente per non mettere in pericolo la vita di mia moglie e i miei figli che sono tutta la mia vita”. Oggi l’originale di quella missiva è in mano a Fabio Lombardo. Nella sua mente restano, però, i dubbi di quella tragica stagione.