Sicilia, Province uccise all'Ars: tanti moventi, clima tutti contro tutti

Le Province ‘uccise’ all’Ars, tanti moventi e clima da tutti contro tutti

La caccia ai franchi tiratori nel centrodestra

PALERMO – Tanti moventi per tanti possibili ‘colpevoli’. Il voto sulla riforma delle Province che ha mandato in frantumi il centrodestra all’Ars non ha un solo responsabile. Così non potrebbe essere, con buona pace del consueto gioco di accuse reciproche sottobanco scattato tra le mura di Palazzo dei Normanni. Alla fine il computer di Sala d’Ercole parla chiaro: 37 i deputati di maggioranza presenti al momento del voto ma il centrodestra si è fermato a 25, contro i 40 che hanno votato no al mantenimento dell’articolo 1 sul quale si basava gran parte della legge che avrebbe dovuto reintrodurre l’elezione diretta dei presidenti delle Province.

Province, caccia ai franchi tiratori all’Ars

“Si va avanti con le riforme”, ha spiegato il governatore Renato Schifani ai suoi fedelissimi che lo hanno raggiunto subito dopo il voto. Il presidente della Regione ha lasciato Palazzo dei Normanni subito dopo il voto visibilmente contrariato ma in serata ha lasciato intendere di essere già proiettato sull’agenda di governo. Nei corridoi di Palazzo Reale, nel frattempo, ci si esercitava nella caccia ai franchi tiratori. Tre i parlamentari con un alibi di ferro perché assenti al momento del voto: i meloniani Auteri e Galluzzo, oltre all’autonomista Carta. Il sospetto cade così su almeno 12 degli altri 37 parlamentari, anche se il numero dei ‘traditori’ potrebbe essere addirittura più alto se si considera che non sono in pochi a ipotizzare la provenienza di qualche voto favorevole al ddl dai banchi delle opposizioni.

Il ‘tradimento’ trasversale nella maggioranza

Il tentativo di avvicinamento nelle ore antecedenti alla seduta di Sala d’Ercole era stato effettivamente messo in atto, ma la sponda tentata con il Partito democratico non ha avuto l’effetto sperato dagli sherpa del centrodestra. In casa Pd è infatti scattato l’allarme rosso e il gruppo alla fine avrebbe votato in maniera compatta per il no. Quei tasti rossi in più sono quindi da ricercare in un centrodestra che ha fallito la prova d’aula, alle prese anche con conflitti interni ai partiti. Impossibile avere la certezza su chi ha voltato le spalle al governo e al suo ddl Province: troppe le variabili sul tavolo. L’unica certezza sono i rapporti tesissimi tra i partiti della coalizione di governo e per questo appare chiaro che i congiurati si nascondano lungo tutto il fronte del centrodestra. Sono ancora le nomine della sanità, come assicurano più voci dalla pancia di Palazzo dei Normanni, a provocare gli scossoni d’aula per una maggioranza che, dopo il ddl ‘salva-ineleggibili’, perde anche la partita delle Province.

Tutti i moventi dei sospettati

C’è chi punta il dito sugli scontenti di Fratelli d’Italia, partito che ha dovuto ingoiare il rospo del ko sulla ‘salva-ineleggibili’ e che conta più di un distinguo al suo interno. Di contro, dalle parti dei meloniani, si guarda con sempre maggiore sospetto all’alleato leghista e si segnala qualche movimento “anomalo” nei banchi del Carroccio al momento del voto. L’entità del ko fa ricadere dei sospetti anche su qualche dissidente di Forza Italia: alcuni non avrebbero digerito la candidatura di Marcello Caruso alla presidenza della Provincia, altri avrebbero guardato con livore alla necessità di cedere la Provincia di Agrigento a Totò Cuffaro. Ma i sospetti non risparmiano neanche l’ex governatore e la sua Dc. Quest’ultima, principale sponsor della legge, alla fine avrebbe cercato di evitare l’election day con le Europee che invece si prefigurava all’orizzonte (Cuffaro, però, in mattinata smentisce questa ipotesi: “Siamo convinti sostenitori del ritorno delle Province, qualunque sia la data del voto”, dice). Il leader Dc poi attacca le “verginelle della maggioranza” e a proposito delle dichiarazioni sul voto dell’aula parla di “stucchevole sagra delle ipocrisie”. La stessa motivazione, legata all’election day, potrebbe avere spinto anche il Movimento per l’autonomia a voltare le spalle al ddl. Nessuno sfugge al vento del sospetto che continua a spirare nei corridoi di Palazzo Reale.


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