(rp) Se le leggi del calcio e delle relazioni umane hanno un senso, ieri Delio Rossi si è seduto per l’ultima volta sulla panchina rosanero. Lui e Zamparini non si piacciono (verrebbe da dire che a Zamparini, in fondo in fondo, non piace quasi nessuno). Si separeranno. Verrà un altro allenatore, forse già affermato. Ci sarà l’idillio prima della separazione traumatica. E’ andata sempre così, non si capisce perché gli scenari dovrebbero cambiare.
Ricorderemo Delio Rossi come l’allenatore che, fin qui, ha lasciato l’impronta più profonda nella storia moderna del Palermo. Più di Guidolin e degli altri. La storia non è solo un calderone di numeri (e quelli di Delio sono eccezionali). E’ soprattutto una retta formata da segmenti di memoria e affetti. Nessuno come Delio ha saputo conquistare il pubblico, senza ruffianesimi da capopopolo, semplicemente restando nel solco tracciato dalla propria modestia. Nessuno come Delio ci è piaciuto, per il suo essere una persona tra le persone, uno che lascia cadere il mantello labile della fama e dei soldi, per confrontarsi serenamente.
Il Palermo di Delio Rossi è stato un prodigio di tecnica e di tattica. Alcuni critici malaccorti rammenteranno soprattutto le imbarcate difensive. Noi riteniamo più giusto sottolineare il gioco complessivo. Anche nella disgraziatissima finale di ieri non c’è stata partita tattica. L’allievo Leonardo è stato surclassato. Certo, se un generale ha l’artiglieria pesante e si batte contro una schiera di fucilieri intelligenti, gli capita di vincere le guerre. Gli capita. Appunto.
Delio ci piace e ci è piaciuto per quel suo essere cortese e rivoluzionario, mai discostandosi dai canoni della normalità. Per quel “sai cosa c’è” che lo ha reso proverbiale. Per quel sospiro prima di ogni risposta che sottintende la riflessione, non l’emissione di luoghi comuni a casaccio. Le strade stanno per separarsi, certo. E’ il momento di dire grazie al signor Rossi. Per le cose concrete. Per i sogni dolci e spezzati.