L'uomo con la casa in riva al mare - Live Sicilia

L’uomo con la casa in riva al mare

In Cattedrale per le esequie
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Enzo Fragalà

Enzo Fragalà

Enzo che amava la gente, i cavalli, il mare, la vita, l’hanno messo in una cassa da morto troppo piccola per la marea dei suoi cento sogni che sapeva gonfiarsi di onde e si scioglieva in docile spuma lungo la riva.
Nell’ultimo viaggio lo accompagna una città partecipe, affettuosa, commossa e intenerita.
Nell’ultimo viaggio lo accompagna una città oscena, cattiva, ripida e astiosa.
Enzo Fragalà aveva la casa in riva al mare di Mondello. Impossibile sbagliarsi. Noi, ragazzini intimoriti, ammiravamo da lontano quel magnifico castello di perle rosate a strapiombo sugli scogli, a un pelo dai gabbiani. E siccome eravamo intrisi di mitologia infantile ci chiedevamo chi potesse essere il nume di quel luogo, il Nettuno seduto lì, a presidiare un simile tesoro. Un giorno qualcuno lo vide, in persona,  e raccontò alla torma di curiosi: “Il padrone è un uomo piccolo e sorridente. Un avvocato”. Non gli credemmo. E per lungo tempo restò vivido in noi il mistero della casa di Mondello, abitata da una divinità benevola ma invisibile.
Enzo Fragalà, stamattina, era al Comune di Palermo, circondato dagli uomini dell’istituzione municipale, per gli ultimi omaggi. “Un segno – secondo comunicato stampa – della città stretta intorno a uno dei suoi figli migliori”. Allora avrebbero fatto meglio a posarlo sugli scogli di Mondello, accanto alle ali dei gabbiani. Avrebbero fatto meglio ad affidare il suo sorriso a un cavallo, a una corsa gentile. Da tempo, Palazzo delle Aquile è una sbiadita decalcomania, è il non luogo della città che rappresenta. Sensazioni condivise. E, per una volta, non c’entrano destra e sinistra. “Avvertiamo segni di odio e di cattiveria nell’aria – dice Eduardo, giovane militante di destra -. Purtroppo questa classe dirigente non li coglie, non li immagina, non sa trovare adeguate contromisure. Lo dico in senso trasversale, il problema riguarda tutti”. Anche quei politici che berciano nei telefonini a dieci passi dal caro estinto, ridendo a gola piena, come se il funerale fosse un ballo in maschera.

Il protocollo prevede che ci si sposti a piedi in Cattedrale. La città partecipe segue il rito col cuore in mano. L’altra finge compassione. E parla col telefonino. Dal comune alla chiesa, lungo strade sozze e impestate di smog. In una via Crucis di macchine e munnizza. Chissà, non ci si può nemmeno stupire troppo di quelle orrende bastonate vigliacche. Sono l’efferata traduzione del paesaggio, di uno stato d’animo crudo. E quando comincia il terrore, a Palermo come alla Bastiglia,  per primi cadono sempre i migliori, gli uomini più gentili.

In Cattedrale non mancano i politici e gli affini, alcuni con i loro sghignazzamenti impropri. L’importante è farsi riconoscere. Ma c’è anche la gente minuta, che vuole bene davvero. Una vecchina povera è capitata qui per le consuete preghiere mattutine. Si è trovata nell’occhio del ciclone delle esequie. Si informa. Una smorfia di dolore le torce i lineamenti: “Ah, è Fragalà. Mischino, che impressione”. Un residuo di militante con i capelli bianchi porta un’antica bandiera di passione e fedeltà. Le parole dell’arcivescovo sono sprone e sollievo. Paolo Romeo è forse l’unica istituzione che possa fissare negli occhi i suoi concittadini, senza vergogna. Niente vendetta, ma nemmeno disattenzione, dice Romeo. Nessuno può sentirsi al sicuro dall’ombra che lo segue. Nessuno può pensare che le spalle piegate sotto i colpi del bastone siano sempre quelle di un altro.

Moglie e figli, soffocati dal martirio,  ascoltano. La città che non vuole rassegnarsi ascolta. Il silenzio supera il crepitio dei telefonini. Forse questo silenzio pesante è un modo per ricominciare. Forse è una carezza per Enzo che ha chiuso tutto il suo mare dentro una cassa da cimitero. Chi lo ha amato spera che ci sia un altro viaggio, un’altra rotta, un’altra vela.
Perciò, non chiamatela bara. Chiamatela barca.


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