Ma i conti non tornano | all'ombra delle statue - Live Sicilia

Ma i conti non tornano | all’ombra delle statue

Borsellino, miccichè, orlando
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Diceva cose scomode e interessanti Paolo Borsellino in un vecchio video di lezioni antimafia che abbiamo recuperato su youtube. Diceva che i partiti devono “apparire onesti”, non solo esserlo. Diceva che, quando non ci sono le condanne, ci sono comunque altri vigili poteri che possono agire per evitare infiltrazioni o sospetti. Chissà cosa penserebbe mai oggi di Marcello Dell’Utri e di Vittorio Mangano, rispettivamente innocente sulla parola ed eroe dei nostri tempi, la buonanima del giudice massacrato in via D’Amelio.

Quella lezione chiara e vigorosa ci è tornata in mente leggendo sul blog di Gianfranco Miccichè un commosso ricordo di Borsellino e Falcone:  “Tuttavia (ecco la loro grandezza!) nello stesso ricordo di quel dolore, cresce e si rinsalda in noi anche la consapevolezza che in realtà non li abbiamo persi, che in realtà loro sono ancora qui e fanno ancora rumore, pesano ancora, e di più, sulle coscenze sporche dell’illegalità, tanto da esser vilipesi, oltraggiati, come è accaduto ieri. Non più due siciliani, due magistrati, due eroi, ma due icone, due monumenti eterni alla legalità, alla giustizia, alla speranza di riscatto di una Sicilia libera e forte, più dei mafiosi”.

Deve essere lo stesso Miccichè che ha scritto, appena qualche settimana fa: “L’attesa è l’ulteriore segmento di calvario che sarà costretto a subire il nostro Marcello (Dell’Utri); la speranza è la nostra, la speranza che, detta alla Voltaire, in questo Paese ci possano essere delle stelle di giustizia , che, consapevoli di avere la pesantezza del piombo, siano specchi di virtù e giudichino con coscienza e con coraggio”. Un rapporto di vicinanza tra i due esiste, è noto. Miccichè non l’ha mai negato.

Ci poniamo la domanda non nuova: chi abita nella casa metaforica di Dell’Utri e di Mangano (e non con la modestia dell’incertezza, che sarebbe già qualcosa, ma con la sicumera di un’enfasi assolutoria del tutto fuori luogo), pur con i suoi nobili e disinteressati motivi,  può stare nello stesso luogo ideale di Borsellino? La risposta è identica e non cambia: no. E’ la lezione antimafia di quel video col giudice (e della sua intera vita) a escludere ipotetiche compatibilità. Si parla di una onestà che deve essere adamatina e formale, perché la forma coincide con la sostanza. Si indica la strada di una coraggiosa pulizia che i partiti e i politici devono intraprendere, se vogliono risultare credibili,  a prescindere dalle sentenze, con la ramazza della morale e della sobrietà.  I partiti  non sono la magistratura, perciò dovrebbero essere in grado di additare e rimuovere l’etica improba di chicchessia, anche se il fatto non costituisce reato. E’ un principio di autentica ispirazione borselliniana. Non è ancora più vero col macigno pesante di una condanna sul groppone di un senatore della Repubblica?

 Ecco perché chi scrive ritiene che Miccichè, insieme con chi professi la sua stessa liberissima e rispettabile concezione sullo strano caso di Marcello Dell’Utri,  sia lontano anni luce dall’ammaestramento di Paolo Borsellino e di conseguenza non possa celebrarne il sacrificio senza rendere un pessimo servizio alla coerenza. Non c’entrano destra o sinistra, i giudici cattivi (quali Falcone e Borsellino furono per tanti in vita prima della santificazione post mortem) e i magistrati buoni. Non è mercanzia di fazione contrapposta.  E’ logica distillata. Paolo Borsellino e Vittorio Mangano non saranno mai eroi nella stessa pagina. L’uno è l’antitesi dell’altro. Non c’è una parola per avvicinarli. E non è lecito sporcare l’appellativo “eroe”, nemmeno con l’alibi del giudizio personale.

Gianfranco Miccichè, con la nettezza che gli riconosciamo, vorrà dire la sua sul punto? Altrimenti non si preoccupi, il carro delle vedove a lutto, silenti, amorose e incoerenti sulla strada di Capaci e via D’Amelio è assai fornito. La compagnia è variegata.  C’è Leoluca Orlando che non ha mai rinnegato un’improvvida frase sui cassetti della Procura ai danni di Falcone, eppure fornisce ancora lezioni di antimafia. C’è tutta la sinistra dell’epoca che crocifisse il giudice Falcone per via di una svolta (che era di servizio, al seguito del ministro Martelli) ritenuta interessata e troppo “socialista”. Nessuno ha fin qui chiesto perdono per un tale colossale fraintendimento.

In via D’Amelio, fino a poche fa, non c’era nessuno. Tra poche ore ci saranno tutti. Ma chi ama davvero Paolo Borsellino la preferisce così, spoglia, lontana dai soffietti e dalla retorica. Tra poche sarà il giorno dei fiori, molti già appassiti.

Ci siamo giustamente indignati per il monumento sfregiato di Falcone e Borsellino in via Libertà. Non ci ribelliamo mai abbastanza allo scempio continuato che viene praticato sulla loro memoria da finti amici e allucinati portabandiera d’occasione. Abbiamo messo due carabinieri a guardia delle statue che raffigurano i magistrati in via Libertà, così siamo a posto con la coscienza. Perché questo sono ormai Giovanni Falcone e Paolo Borsellino per noi. Statue. E chi saprebbe amare, conservare nel cuore e tenere con sè un immutabile sguardo scolpito?


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