Ma quanto fa ridere il precario... - Live Sicilia

Ma quanto fa ridere il precario…

di MARIA PERITORE La stagione accarezza i boccioli di zagara in giardino e colora di rosso i tulipani che galleggiano sotto vetro sulla finestra poco lontano, portando in trionfo la frizzante essenza mediterranea e l’austera bellezza del nord.
Scrittori emergenti: De Greef
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di MARIA PERITORE La stagione accarezza i boccioli di zagara in giardino e colora di rosso i tulipani che galleggiano sotto vetro sulla finestra poco lontano, portando in trionfo la frizzante essenza mediterranea e l’austera bellezza del nord. La terra di Sicilia ci alletta con i suoi profumi, ci stuzzica con i suoi sapori ricchi di suggestioni antiche, con i suoi luoghi d’arte e col suo mare, ma non è terra dell’abbondanza, né delle grandi opportunità. Il lavoro, si sa, scarseggia e, di norma, se non è sottopagato, è irregolare, quasi sempre è precario. In questo universo, affonda l’inchiostro Erwin De Greef, palermitano di madre olandese, autore  del romanzo, “Per il resto chiedete a Pennac”, edito da Coniglio, che, rendendo omaggio alla saga di Malaussene, è deciso a far vestire, al suo alter ego omonimo, i panni di un Don Chisciotte contro tutti i mulini a vento, affrontando ogni genere di lavoro: dal vendemmiatore in una Menfi reticente e sospettosa  a venditore di prodotti cosmetici per un bieco principale senza scrupoli, da scaricatore di lavatrici a teleseller in un call-center/ lager, mentre, al contrario, i genitori sognano per lui un futuro da laureato. Il precariato visto da De Greef non si avvale di un frasario crudo, cinico e senza speranza, ma di un repertorio di situazioni surreali, raccontate con brillante ironia ed arriva a toccare picchi di umorismo esilarante ad ogni capitolo. Pur attingendo ad una serie di luoghi comuni, non scade mai in  trite ovvietà, ma forte di una vis comica disinvolta e dissacrante, unita ad un narrato semplice e diretto, alla maniera degli scrittori anglo-americani, Bukowski e Stevenson,  strappa risate ad ogni piè sospinto, a testimonianza che le difficoltà, piuttosto che abbattere, devono fortificare e dare la forza sufficiente per guardare alle proprie potenzialità con spirito propositivo. A colmare i piccoli vuoti, poi, c’è sempre l’amore, l’eterno motore di ogni cosa, che nel romanzo veste i panni di donne fortemente caratterizzate nella loro femminilità, descritte e vissute da Erwin in stati di esaltazione testosteronica e personificate, ora, dalla passionale e popolana Maria Carmela, ora, dalla semplice e concreta Patrizia. Situazioni a cui Erwin non è nuovo e che in parte abbiamo apprezzato nel precedente romanzo “Dio c’è e bacia benissimo”, pubblicato sempre dall’editore Coniglio. Proprio la passionalità siciliana unita al pragmatismo olandese, il saper fondere con equilibrio “scorsonera” e cannella con noce moscata e ginepro, dà vita ad un bel contraddittorio con de Greef, tra il serio e il faceto.

Parlaci brevemente di te: sei olandese per parte di madre, come mai usi il suo cognome?
“Sì, padre “vucciriota”, mia madre, invece, olandese di Utrecht. Uso il suo cognome.. glielo devo, perché gioca fuori casa”.

Il tuo primo romanzo, “Dio c’è e bacia benissimo”, è divertente, ma “Per il resto chiedete a Pennac” è davvero esilarante, tratta un tema attualissimo.
“In “Dio c’è”, il tema trattato è quello dell’amore, la ricerca di una realizzazione sociale con una donna. Il protagonista vuole la ragazza, Clarabella, gli piace, sente che può conquistarla. Si fa in quattro e beve anche un bel po’ per scaricare la tensione… E’ un romanzo breve scritto di getto, in cinque giorni. C’era tanta voglia di raccontarmi e l’ho fatto. Sempre divertendomi e con gusto. Una full immersion passionale e appassionante. Invece, Per il resto chiedete a Pennac è un libro concreto, ironico: giusto per il tema che tratta. Il lavoro! Il precariato è una piaga della contemporaneità, ma bisogna saper ridere anche delle cose più serie. Lo so per esperienza”.

Sei stato, dunque, un precario. Cosa ti senti di dire a tutti i precari del mondo?
“Anch’io ho vissuto la realtà del precariato, e il messaggio che mi sento di dare a chi gravita in questo universo è di non demordere mai, di avere fiducia in se stessi. Perché senza se stessi non esiste il resto. Le doti e le potenzialità saltano fuori prima o poi. Bisogna faticare, sbracciarsi”.

Quanto c’è di te nell’Erwin dei tuoi romanzi?
“C’è abbastanza Erwin, forse tutto. Nei romanzi, nella scrittura in genere, si mescolano le carte: racconti te stesso, agendo di rapina, porti in scena qualcosa che è di un amico, quel che hai ascoltato per strada o nel locale. Di norma, nella scrittura si porta se stessi. Magari, non proprio la tua esperienza diretta, ma quel che senti di condividere con il lettore per fare passare il tuo messaggio”.

Nei tuoi romanzi, le donne hanno un certo peso. Oggi, chi preferisci di più, Clarabella, Maria Carmela o Patrizia?
“Oh, sì, le donne sono tutto nella vita, sono cresciuto in un ambiente femminile, di donne: cugine, amiche così via. Clarabella, è una ragazza “in”, una che piace e che si diverte a farsi notare, ma è una “ok”, in gamba, non sbraca, sa stare con gli uomini e li fa saltare sulla corda. Maria Carmela è un mito. Una donna passionale e popolana. Magari, anche se non detto ma si intuisce, con qualche problema, ma è splendida, sa amare alla follia, però, nella storia c’è Patrizia: Erwin, il protagonista mio omonimo, si lascia affascinare da lei anche perché ci sono molte più affinità. Insomma, hanno qualcosa da condividere. Qualcosa in più della birra, delle sigarette e della buona ottima musica”.

Tu non vivi più a Palermo. Quanto c’è di palermitano in te, e quanto di olandese?
“E’ un mix, il mio. Alle volte sembra di essere ai Mondiali di calcio del ’78. Di palermitano, ho i colori, il folklore, il gesto, l’intuito. Dell’Olanda di Utrecht, ho la voglia di libertà, la ricerca dell’equilibrio, la ricerca di un “io” più “sociale”. In ogni caso, credo di avere preso molto sia da papà che da mamma: da lui, l’amore per la letteratura, la passione per lo studio, la scrittura. Da mamma, il piacere del verde nel balcone, il coltivare fiori e piante in campagna. Da entrambi, il desiderio, o meglio il bisogno del mare, del viaggio. Come loro, sono irrequieto. Ho bisogno di guardare sempre avanti, verso nuovi orizzonti”.

Come vedi Palermo da lontano?
“In fin dei conti, per certi aspetti, Sicilia e Olanda sono simili. Per altri, certo, è un abisso, ma in generale rispetto all’Italia. Bene, la vedo una città che afferma valori che abbiamo cominciato a costruire negli anni Ottanta, che promuove se stessa con valore e vigore. Vedo anche una città che conferma quel che di buono ha saputo costruire nella sua storia plurimillenaria. Palermo e la Sicilia hanno molto da dare al resto dell’Italia…”.

Sei uno spirito positivo che non si ferma mai. A cosa stai lavorando in questo periodo?
“ Faccio l’editor, libero professionista, e mi impegna parecchio. Il mese prossimo uscirà il racconto “La mela caramellata” per un’antologia edita  dall’editrice bolognese Malicuvata. Inoltre, ho pubblicato una carrellata di roba on line: due saggi brevi (Bukowski e Stevenson, quest’ultimo sabato scorso), un paio di poesie (di cui una, “307 parole all’alba” è stata musicata da Fulvio D’Ascola dei Kalavria), un’intera silloge sul tema della memoria e una decina di racconti. In verità, in questo ultimo anno mi sto muovendo molto on line. E’, oggi, un luogo, seppur virtuale, dove il contatto tra autore e lettore è molto più agevole, in quanto diretto e immediato”.


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