Estate, tempo di cenette consumate all’aperto, se possibile in riva al mare. La Sicilia, con i suoi 1637 chilometri di coste e più di ventimila unità locali nel settore degli alloggi e della ristorazione (per un numero di addetti che supera i 60.000, secondo gli ultimi dati ISTAT) è il paradiso degli appassionati di pesce. Sembra un’equazione ovvia; ma al ‘piacere dell’onestà’ (onestà di chi pesca, di chi compra, di chi cucina… e di chi paga moneta sonante per mangiare), non sempre corrisponde una corretta, se non alta, qualità del prodotto offerto.
Da tempo, difatti, Coldiretti Impresapesca va denunciando che nel nostro Paese due pesci su tre provengono dall’estero e vengono spacciati come locali, anche perché nei ristoranti non è obbligatorio indicare la provenienza. Le frodi sono all’ordine del giorno anche sui banchi di vendita, ove è (o meglio, sarebbe) tassativa l’esposizione dell’etichetta di origine. Un elenco sommario quanto preoccupante: pangasio del Mekong venduto come cernia, filetto di brosme come baccalà, halibut o lenguata senegalesi commercializzati come sogliola, polpo del Vietnam spacciato per nostrano, squalo smeriglio per pesce spada, pesce ghiaccio al posto del bianchetto, pagro invece del dentice rosa, e, infine, i gamberetti provenienti da Cina, Argentina o Vietnam, dove, è bene ricordarlo, è permesso il trattamento con antibiotici vietati in Europa perché nuocciono alla salute.
La parola d’ordine è che il pesce SEMBRI fresco; gli addetti ai mercati ittici, siciliani e non, conoscono bene i trucchi del mestiere; un pesce spada d’annata può assurgere a nuova vita se prima viene ben lucidato con l’olio cosmetico. Poi, un’ incisione in punta di coltello sulla spina dorsale, atta a recuperare un residuo di sangue, colora le branchie, un tocco di silicone agli occhi, ed ecco che il pescione ‘come appena pescato’ viene tranciato a 25 euro al chilo.
Nel mercato dell’inganno, il consumatore acquista sogliole gonfiate per accrescerne il peso, tonno colorato con succo di rapa o trattato con monossido di carbonio per un maquillage rosso ciliegia; acciughe e sarde lucidate con acqua ossigenata e pesce di allevamento, più morto del giusto, rivitalizzato da clisteri di acqua e acido citrico.
Gli strumenti più diffusi: l’acqua ossigenata, che serve a sbiancare le carni o a renderle più lucide, vietata dal Ministero della Salute, il cui uso si accerta con difficoltà poiché è volatile e che, tra gli effetti negativi, favorisce l’intossicazione da istamina; i citrati e l’acido citrico, alcuni dei quali sono ammessi come conservanti (ma si devono dichiarare), non sono nocivi ma falsano i ‘dati anagrafici’ del pesce rendendolo più fresco e lucido; i polifosfati, che aumentano il peso del pesce e possono provocare allergie; il monossido di carbonio, che blocca l’ossidazione e mantiene il rosso vivo delle carni, con possibili effetti tossici. Pur essendo proibito in Italia e in altri paesi UE, è permesso in Olanda, e anche negli Stati Uniti. Ci sono infine i coloranti naturali, che non sono proibiti ma vanno indicati in etichetta, perché alterano la percezione del consumatore.
Come difendersi?
Molti esperti affermano che riconoscere il pesce fresco non sia poi così difficile. Qualche suggerimento. Usiamo i nostri sensi, anzitutto l’odorato. Il pesce fresco ha un odore tenue e salmastro, deve, in buona sostanza, evocare alla mente il profumo della salsedine, della brezza marina. Troppo poetico? Affatto! Il pesce fresco è la quintessenza della poesia, specie se saputo cucinare. E non dimentichiamo, nella nostra annusatina valutativa, un vecchio detto: il pesce puzza sempre dalla testa, pertanto ‘scorriamolo’ da cima a coda.
Usiamo, quindi, la vista, e che sia più acuta del solito. Scrutiamo gli occhi dell’oggetto del nostro desiderio; devono essere vividi, sporgenti in fuori, con la cornea trasparente e lucida. Se siamo così malaccorti da comprare pesci privi di testa o di occhi, forse è meglio che ci rivolgiamo fiduciosi direttamente al banco dei surgelati. E della vista serviamoci per valutare il colore, che deve essere iridescente, metallico. Le branchie devono essere rosse o rosacee, umide. Le scaglie, consistenti e brillanti, devono aderire al corpo che, a sua volta, deve essere rigido o arcuato. Le costole e colonna, poi, devono essere attaccate alla parete addominale e ai muscoli dorsali.
E qui serve un altro senso, il tatto: il ‘nostro’ pesce deve essere ben sodo; messo in verticale non si deve afflosciare e se buttato in un secchio d’acqua (prova che purtroppo potrete fare solo una volta a casa, perché dubito che qualcuno vi lasci giocare tranquillamente al suo banco di vendita mentre gli altri clienti aspettano sotto il sole godendosi lo spettacolo) deve affondare come il piombo! Riguardo ai molluschi, i cefalopodi, come le seppie, devono avere gli occhi brillanti e neri e il corpo umido e l’odore non deve essere acidulo. I molluschi con la conchiglia, come cozze e vongole, che continuano a mietere incaute vittime, devono essere VIVI, ricordiamolo. Il guscio esterno deve essere saldo e chiuso, lucido e consistente nel peso; una volta aperte le valve, il mollusco all’interno deve essere adeso alle loro pareti. Una nota dolente: come è noto, anche i crostacei dovrebbero essere comprati vivi. Chi ce la fa, si cimenti pure a lessare in casa un’aragosta; per i meno coraggiosi, oltre alla rinuncia totale, resta sempre valida l’ipotesi di cenare fuori.
E a questo proposito, a parte l’uso dei cinque sensi, si consiglia vivamente l’uso del buon senso. Non è un settore nel quale si possa ‘vincere facile’, come recita una nota pubblicità. Affidiamoci a posti che conosciamo, di meritata fama, e se abbiamo sentore di qualcosa che non va, non siamo timidi: meglio una educata protesta che ingerire un pauro all’ammoniaca. Alla schiera sempre più nutrita degli estimatori del sushi, ricordiamo che il pesce crudo è opportuno mangiarlo solo in esercizi che diano la massima garanzia sulla provenienza del prodotto. E ci fa piacere ricordare come nella nostra splendida Isola ci siano tanti giovani ristoratori che amano rendere edotti i loro clienti sulla provenienza certificata del prodotti che usano in cucina. Una ulteriore buona regola è scegliere pesci e molluschi di stagione e nostrani. Anche se ormai si trova tutto e tutto l’anno, per ogni specie vi è periodo durante il quale le qualità nutrizionali ed organolettiche sono all’apice; il pesce locale, poi, è sottoposto a controlli molto severi, ed è quindi preferibile al pesce d’importazione. Non è per un malinteso senso di campanilismo che occorrerebbe preferire il pesce italiano, e siciliano in particolare. Il nostro pesce, specie il pesce azzurro del Mediterraneo, contiene un considerevole apporto di principi nutritivi, come gli acidi grassi essenziali omega 3 e le proteine, in una percentuale maggiore rispetto ai pesci che vivono in altri mari. Inoltre è ricco di minerali come iodio, calcio, fosforo, potassio e rame e di vitamine.
Se ci dedichiamo alla buona tavola tra le mura domestiche, infine, non ‘assassiniamo’ il pesce due volte cuocendolo troppo e male. Sarebbe una ignominia nella terra della buona cucina. Se proprio, nonostante la moda imperante, non siamo master chef, tanti localini ci aspettano invitanti.
Infine, una soluzione estrema. Trasformarci, sia pure temporaneamente, in pescatori delle vacanze e consumare il nostro pescato, proprio come il mitico Tomas, il famoso meticcio di un pescatore di Castellammare del Golfo. Questo straordinario cane, di una intelligenza, ma soprattutto di una coerenza, superiore a quella di molti umani, secondo la consuetudine esce di notte per la pesca e si ritira dall’alba, trascorre molte ore in mare e mangia solo pesce freschissimo. Il suo padrone ama raccontare che, se anche ogni tanto un passante, per simpatia, gli lancia qualche salume, lo odora e lo lascia a terra sdegnato. A Castellammare, dove ancora è possibile al mattino comprare il pesce appena pescato direttamente dai pescatori, Tomas è la loro mascotte. La vita nella piccola barca del suo padrone e il mare immenso sono per lui una sfida quotidiana. Come mangiare pesce fresco.