Mafia agrigentina e droga, scattano tredici arresti in due province

I clan, la droga e le intimidazioni: 13 arresti in due province – VIDEO

Sono stati eseguiti dai carabinieri a Favara, Canicattì, Porto Empedocle e San Cataldo
AGRIGENTO
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AGRIGENTO – Tredici fermi per associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti con l’aggravante di aver agito utilizzando il metodo mafioso. Sono stati eseguiti dai carabinieri a Favara, Canicattì, Porto Empedocle, comuni agrigentini, e San Cataldo, nel Nisseno, su ordine della Dda di Palermo.

Cinque indagati si trovavano già in carcere. Sono state fatte varie perquisizioni personali e domiciliari delegate dalla Procura distrettuale nei confronti di altre persone indagate.

L’origine dell’inchiesta

L’indagine nasce nel dicembre 2024 e costituisce il proseguimento di quelle che il 14 gennaio scorso sfociarono nell’esecuzione di un’ordinanza di misure cautelari nei confronti di 48 persone presunti esponenti delle famiglie mafiose di Porto Empedocle e di Agrigento-Villaseta, con a capo rispettivamente Fabrizio Messina, di 49 anni, e Pietro Capraro, di 39.

Gli investigatori dicono che l’indagine dimostra che, “pur essendo stata sensibilmente intaccata nel corso degli anni da varie operazioni, Cosa nostra agrigentina è pienamente operante”. Inoltre sarebbe “dotata di ingenti disponibilità economiche e di numerose armi”.

Inoltre opererebbe in un contesto caratterizzato da una instabilità “degli equilibri mafiosi faticosamente raggiunti nel tempo, cui si aggiungono i sempre più pericolosi, persistenti e documentati collegamenti tra gli associati in carcere e quelli in libertà”.

L’uso di telefonini in carcere

I carabinieri hanno scoperto un “sistematico utilizzo di apparecchi telefonici da parte degli uomini d’onore, o di soggetti contigui al sodalizio, durante i rispettivi periodi di detenzione”. Gli indagati sarebbero responsabili di incendi e attentati a imprenditori e negozianti e a spacciatori che non volevano adeguarsi alle imposizioni del clan.

È emersa la disponibilità di armi degli indagati. Negli atti intimidatori, nel dicembre 2024 ai danni di una rivendita di frutta e verdura di Agrigento e lo scorso mese di giugno ai danni di un panificio di Porto Empedocle. Erano stati esplosi a raffica svariati proiettili utilizzando un fucile mitragliatore AK-47.

La copia forense dei dati del telefonino

I carabinieri hanno analizzato i dati contenuti nella copia forense dello smartphone utilizzato dall’indagato James Burgio. Il telefonino era stato sequestrato in occasione della perquisizione eseguita nella sua cella nel carcere di Augusta il 17 dicembre 2024.

Attraverso l’esame dei contenuti telefono, la videosorveglianza e le intercettazioni gli investigatori hanno ricostruito a struttura di un’associazione criminale dedita al traffico di sostanza stupefacente del tipo cocaina e hashish, al cui vertice vi era Burgio che interloquiva con esponenti di primo piano di Cosa nostra agrigentina come Pietro Caprara e Gaetano Licata.

Le intimidazioni a un imprenditore

Il 27 maggio scorso venne arrestato Cristian Terrana, fermato a Porto Empedocle a bordo di un motociclo privo di assicurazione e con 506 grammi di cocaina e 780 euro. In casa poi furono trovati altri 4.880 euro.   

Secondo l’accusa gli indagati avrebbero eseguito diversi atti intimidatori come quello a Porto Empedocle ai danni di un imprenditore, per costringerlo a dare soldi all’organizzazione criminale: nel settembre 2024 furono sparati colpi d’arma da fuoco nella facciata dell’abitazione e a ottobre 2024 gli venne incendiata l’auto. 

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