Il maxi processo Apocalisse | Un "mostro" che crea malumori - Live Sicilia

Il maxi processo Apocalisse | Un “mostro” che crea malumori

Il Palazzo di Giustizia di Palermo

Secondo il presidente della sezione Gip-Gup, sarebbe stato opportuno dividere in più tronconi il dibattimento con 129 imputati per allontanare il rischio che si trasformi in una "lotteria". E in Procura non gradiscono le sue parole.

PALERMO – In Procura non hanno gradito. Quella definizione “processo mostro” con il paventato rischio che si trasformi in una “lotteria” non è piaciuta ai pubblici ministeri che chiedono di mandare alla sbarra 129 imputati, fra presunti boss, picciotti e gregari della mafia di mezza città.

Poco prima che ieri si aprisse il dibattimento denominato Apocalisse ha preso la parola Gioacchino Scaduto, presidente aggiunto della sezione Gip-Gup del Tribunale di Palermo, per spiegare quanto complicato sarà affrontare un processo dai grandi numeri: i capi di imputazione sono più di 500 e questo vorrà che dire il giudice per l’udienza preliminare dovrà valutare altrettante circostanze in cui sarebbe stato commesso un reato. Insomma, una mole di lavoro impressionante che va valutata con cura e correttezza.

Ecco perché il giudice ha chiesto la collaborazione di tutte le parti per garantire tempi e modi di un processo che, così vuole la legge, deve essere giusto. Il Gup incaricato è Roberto Riggio, probabilmente l’unico disponibile per via delle incompatibilità. La stragrande maggioranza degli imputati aveva già avuto guai con la giustizia prima di finire di nuovo in cella. Questo vuol dire che in passato altri giudici si erano occupati di loro anche solo per autorizzare un’intercettazione telefonica o ambientale. A questo si aggiunge la già precaria condizione dell’ufficio ingolfato di richieste. E così nelle parole di Scaduto si può leggere il rammarico di vedersi arrivare un maxi processo che si sarebbe potuto dividere in più tronconi sfruttando la distinzione per zone seguita dalle forze di polizia in fase investigativa (Squadra mobile, carabinieri e finanzieri del Nucleo speciale di polizia valutaria). E cioè Tommaso Natale, Resuttana, Partanna Mondello, San Lorenzo, Acquasanta, Pallavicino e Zen.

Impossibile, sostengono i pubblici ministeri, perché si sarebbe perso quel quadro d’insieme che fotografa la fluidità dei clan mafiosi dove i boss, o presunti tali, operano anche lontano dal proprio territorio di competenza. L’intreccio di interessi e affari sporchi è il cuore dell’intera indagine sfociata in due blitz a distanza di pochi mesi l’uno dall’altro: il primo a gennaio 2014, il secondo nel febbraio successivo.

L’inchiesta, coordinata dai pm Dario Scaletta, Francesco Del Bene, Annamaria Picozzi, Amelia Luise e Roberto Tartaglia, ha ricostruito gli assetti di vertice dei principali clan della città e diversi episodi di estorsione. Imputati, tra gli altri, i boss Girolamo Biondino, Francesco e Giulio Caporrimo, Silvio Guerrera, Tommaso Contino, Gioacchino Favaloro, Gaetano Ciaramitaro e Giuseppe Battaglia, il pentito Vito Galatolo e i capimafia Filippo e Agostino Matassa.

Nella prima udienza di ieri, in un’affollatissima Aula Bunker, c’è stata la richiesta di costituzione delle parti civili. Numeri record anche per chi si ritiene parte offesa. Sono una cinquantina, tra cui la Presidenza del Consiglio dei ministri, il Comune di Palermo, le associazioni antimafia e delle vittime del racket. La decisione sulla loro richiesta sarà decisa il 19 maggio prossimo.

 


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