Mafia, batoste e lavoro | Il "paniere" dei nuovi boss - Live Sicilia

Mafia, batoste e lavoro | Il “paniere” dei nuovi boss

Carmelo Gariffo e Antonio Di Marco

Carmelo Gariffo, il nipote di Provenzano finito in manette, dettava le condizioni a un imprenditore.

PALERMO – “Il paniere delle pretese di Cosa nostra”, lo definiscono gli investigatori. La mafia che arranca in provincia di Palermo chiedeva soldi e lavoro. Altrimenti sarebbero state batoste e ritorsioni per gli imprenditori che non si piegavano al volere dei boss di Corleone.

Carmelo Gariffo, il nipote di Bernardo Provenzano arrestato nel blitz di martedì scorso, due anni fa era stato scarcerato per fine pena. Una volta libero ha cercato di fare pesare la sua parentela. Aveva bisogno di tornare nel giro. Come lui stesso diceva era “azzerato” dal punto di vista economico. Nella sua marcia verso la riconquista del potere Gariffo si sarebbe scontrato, così sostengono pubblici ministeri e carabinieri, con Rosario Lo Bue a cui era stato affidata la gestione del mandamento.

Una delle prime cose che Gariffo fece per ribadire che un Provenzano non poteva restare nelle retrovie fu quella, d’intesa con Antonino Di Marco, pure lui in manette, di presentare il conto all’imprenditore che si era aggiudicato un appalto legato alla costruzione del campo polivalente di Corleone.

Le richieste della mafia dovevano essere mediate dal direttore dei lavori. Ecco i passaggi cruciali annotati dai carabinieri del Comando provinciale e del gruppo di Monreale. Innanzitutto, i soldi della messa a posto. Le cifre, rispetto al passato, sono state riviste al ribasso perché “.. ormai Corleone è un paese di babbi… solo se tu hai la possibilità di fargli avere tre quattro mila euro, cinque mila euro già la cosa è fatta”.

Poi, assunzioni e sub appalti per imprese locali segnalate dal clan: “Non c’è il rispetto di una volta… a scimunito tu tanti milioni di lavori che hai preso là non lo devi capire quello che devi fare? Perché dopo che prendi un escavatore e una pala di là (e cioè di Corleone, ndr) e la fai lavorare che ti cambia?”.

Così come un occhio di riguardo bisognava avere per la manodopera ‘consigliata’ dai nuovi boss: “… invece di portartene dieci te ne porti sei e quattro ragazzi li fai lavorare di là… perché uno che ha un quantitativo di lavoro dice senti quello che cercate… lavorate”.

Il direttore dei lavoravi ascoltava attento, ma rispondeva in maniera evasiva. A quel punto scattò la minaccia che l’uomo avrebbe dovuto girare al suo datore di lavoro: “… il comportamento che hanno loro è sbagliato e se lui non si mette in riga, io ho l’impressione che lui il pallone non lo gonfia… lo sai quando lo capiscono? quando abbuscano le batoste… e poi vanno cercando il chi, il come e il quanto”.

Per convincere i riottosi andava loro ricordata la brutta esperienza capitata a un imprenditore originario del Trapanese che si era aggiudicato un appalto nel territorio sotto l’egida dei boss di Corleone: “… ha iniziato a lavorare… ci sono andati ragazzi a domandare lavoro… noi non vogliamo a nessuno… due camion nuovi glieli hanno bruciati completamente”.

L’imprenditore, che stava lavorando all’appalto per il campetto polivalente, alla fine non ha ceduto. C’è pure la sua denuncia nell’ordinanza di custodia cautelare nei confronti dei nuovi presunti boss di Corleone e dintorni.

 


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