Mafia, cassate e case di riposo | Le "pretese miserabili" dei boss - Live Sicilia

Mafia, cassate e case di riposo | Le “pretese miserabili” dei boss

Salvatore Testa

Il blitz di Brancaccio traccia un quadro sociale sconfortante

PALERMO – Uno ha 57 anni e l’altro 56. Salvatore Testa e Luigi Scimò, i due nuovi capimafia di Brancaccio, sono personaggi già noti alle forze dell’ordine.

Testa ha scontato una condanna per estorsione, mentre Scimò nel 2014 è tornato libero per fine pena. Ha retto nei suoi confronti l’accusa di mafia, ma non quella di omicidio.

Sono loro, secondo l’accusa, i nuovi boss di un mandamento fiaccato dagli arresti. I mafiosi hanno perso il prestigio e il carisma di un tempo eppure continuano a regolare la vita in grosse sacche della città, in un sottobosco criminale segnato da piccoli e grandi soprusi.

Testa e Scimò, che ufficialmente lavora nell’agenzia funebre di via Amedeo D’Aosta formalmente intestata al genero, si riunivano in un garage di via Maurizio Quadrio o in un appartamento di via Fratelli Campo. Discutevano innanzitutto di pizzo. Il 19 luglio 2017 Giuseppe Di Fatta e Salvatore Giordano, delle famiglie di Roccella e Corso dei Mille, furono fermati dalla polizia. Giordano aveva addosso un pizzino. “Nanetti, Porretto, autosalone, abbigliamento, panificio”: era l’elenco dei commercianti che subivano le estorsioni.

I boss chiedono cifre irrisorie, a volte si accontentano di merce al posto dei soldi. Come “le cassate” che Giordano si proponeva di “annagghiare” dal titolare di una pasticceria. Giordano faceva il resoconto degli incassi a Testa: “Io ho quasi finito tutto il giro. Io sono andato da questo dei mobili e il tappezziere… più sopra, lui me l’aveva detto che forse… comunque… non ce l’hanno… per quanto riguarda il discorso delle saracinesche, sono andato da Giovanni e gli ho spiegato la situazione… chiudendo tutte cose dovremmo arrivare ad agganciare sopra i tremila euro”. Tante estorsioni, nessuna denuncia da parte dei commercianti che adesso saranno convocati alla squadra mobile.

Con il pizzo si raccolgono gli spiccioli, ma resta necessario per controllare il territorio. “Non deve scandalizzare la miserabile pretesa avanzata di riscuotere qualche cassata senza pagare – scrive il giudice per le indagini preliminari Filippo Lo Presti -. La vicenda rischia quasi di destare ilarità se non fosse che dietro quella richiesta vi è l’essenza predatoria dell’imposizione mafiosa tesa ad affermare la propria presenza sul territorio ottenendo il riconoscimento degli esercenti; un riconoscimento di qualsiasi tipo”.

È con altre attività che i mafiosi alimentano le casse dell’organizzazione. Con lo spaccio di droga, comprata in Calabria, e le slot machine imposte a tappeto nei bar.

Scimò si era fatta venire un’altra idea. Avrebbe aperto due case di riposo per anziani intestandole a prestanome. Si tratta delle comunità “Girasole” di via Pianell e “Don Bosco” di via Pigafetta, entrate in concorrenza con tale “Giacomino” che, così diceva Anna Gumina, “si va a prendere persone dall’ospedale, dal Buccheri e se li ricovera…”.

C’è una terza struttura ancora da individuare e che nelle telefonate viene chiamata “call center”. “Anna ma sti vecchi dove devono andare?”, chiedeva Pietro Di Marzo, genero di Scimò. Risposta: “… ora male che vada vediamo al call center… perché è l’unico, l’unico punto di riferimento che abbiamo per ora”. Non erano in regola e gli anziani andavano trasferiti altrove.


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