Mafia, Catania: i trafficanti e la sparatoria di Librino - Live Sicilia

“Si possono fidare”: i trafficanti e la sparatoria di Librino

Dalle carte dell'operazione "Slot machine" emergono intercettazioni che riguardano lo scontro armato tra Cappello e Cursoti dell'agosto 2020.

CATANIA – Appena due giorni dopo la sparatoria di Librino, Santo Aiello e i fratelli Vitale sapevano cosa era successo. È quanto emerge dalle carte dell’inchiesta Slot Machine, che mercoledì mattina ha portato in carcere 21 persone accusate, tra le altre, di associazione a delinquere e traffico di droga. Il gruppo di trafficanti era contiguo, per ragioni di parentela, al clan Cappello, e proprio per questo era a conoscenza dei dettagli di ciò che è successo a Librino.

La sparatoria

Otto di agosto 2020. Un gruppo di quattordici scooter e motociclette con a bordo uomini del clan Cappello raggiunge viale Grimaldi per una spedizione punitiva ai danni di membri dei Cursoti milanesi, che proprio in quella zona hanno una delle loro roccaforti. Tra i due gruppi inizia una sparatoria per strada, alla fine della quale restano a terra, uccisi, Luciano D’Alessandro e Vincenzo Scalia.

Su quell’episodio le forze dell’ordine iniziano subito a indagare, con processi ancora in corso che riguardano sia il clan Cappello, il cui reggente era allora Massimiliano Cappello, che i Cursoti, il cui leader era Carmelo Distefano, entrambi coinvolti nella sparatoria. Al centro delle indagini e dei processi c’è soprattutto la dinamica dei fatti: come si è arrivati allo scontro dell’otto agosto, chi era coinvolto, chi ha sparato a chi.

Le conversazioni

I dettagli sulla sparatoria iniziano a emergere pubblicamente, sui giornali, solo nei mesi successivi. Solo tre giorni dopo gli spari, però, Salvo Aiello, membro del clan Cappello e cognato dei fratelli Vitale, tutti coinvolti nell’inchiesta Slot Machine, parlano dei fatti di Librino, Intercettati dagli investigatori del Gico, Aiello e i Vitale sembrano molto ben informati sui fatti.

Come scrive il Gip nella sua ordinanza di custodia cautelare, esaminando le intercettazioni “si rilevava che il fatto non era stato preventivamente organizzato, e che tra i soggetti coinvolti vi era l’allora reggente del clan Massimiliano Cappello”.

In più, “la presenza di Massimiliano Cappello e dei suoi uomini nel quartiere di Librino – scrive ancora il Gip – era tesa solo a intimorire i rivali, ma nel momento in cui i due gruppi contrapposti venivano in contatto scoppiava un improvviso conflitto a fuoco”.

“Si possono fidare”

Di tutto questo discutono Aiello e Franco Vitale, insieme ad altre persone, appena tre giorni dopo i fatti. Aiello dice “È stato quel cesso che aveva il kalashnikov con due caricatori ed è scappato…. che quando spari una raffica di kalashnikov da dentro una macchina…”, e poco dopo Vitale gli risponde “Basta vah, si possono fidare del capo [Cappello, ndr]…. belle decisioni prende!”. In seguito, lo stesso Aiello racconta che Cappello è stato sempre una persona poco affidabile.

Il fatto che Aiello conoscesse i particolari di quella vicenda conferma, scrive il Gip, “la rinnovata appartenenza di Aiello al Clan Cappello Bonaccorsi”.


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