Mafia, condannato a dieci anni | l'ex deputato regionale Mercadante - Live Sicilia

Mafia, condannato a dieci anni | l’ex deputato regionale Mercadante

Mercadante, condannato in primo grado, fu assolto in un precedente processo d'appello. La Cassazione annullò, però, la decisione e ordinò la celebrazione del nuovo dibattimento oggi arrivato a sentenza. La difesa preannuncia ricorso: "Accuse suggestive e non supportate da elementi oggettivi".

PALERMO- Dieci anni e otto mesi. Per Giovanni Mercadante in appello arriva una condanna pesantissima. Proprio come chiesto dal procuratore generale Mirella Agliastro. L’ex deputato era accusato di mafia.

Due anni fa la Corte di Cassazione decise l’annullamento dell’assoluzione di secondo grado, stabilendo che doveva essere celebrato un nuovo processo d’appello. L’ex esponente regionale di Forza Italia era stato condannato in primo grado, ma il verdetto era stato poi ribaltato dopo che Mercadante aveva trascorso oltre quattro anni in custodia cautelare: 12 mesi in carcere e 43 ai domiciliari.

Il gip che lo mandò in carcere lo definì tanto vicino al capomafia Bernardo Provenzano da far parte di “una Cosa sua”, più che di Cosa Nostra. Un’espressione forte che doveva rendere l’idea dello stretto legame che univa il padrino di Corleone a Giovanni Mercadante, radiologo di grande fama con la passione per la politica. Parente dello storico boss di Prizzi Tommaso Cannella, l’ex parlamentare era accusato di essere stato medico di fiducia delle cosche e punto di riferimento dei boss nel mondo della politica. Indagato già in passato, la sua posizione venne archiviata per due volte. Poi, nel 2006, la svolta nell’inchiesta.

A carico dell’ex deputato, alle accuse dei pentiti, si aggiunsero le intercettazioni ambientali effettuate nel box del capomafia Nino Rotolo, luogo scelto dai clan per i loro summit. Nei colloqui, registrati per oltre un anno, il nome di Mercadante emerse più volte. Per l’accusa, l’ex parlamentare azzurro sarebbe stato “pienamente inserito nel sodalizio criminoso”. Una conclusione riscontrata dalle testimonianze di collaboratori di giustizia: da Nino Giuffrè ad Angelo Siino e Giovanni Brusca. Giuffrè ad esempio raccontò di essersi rivolto al medico, su indicazione dello stesso Provenzano, per fare eseguire alcuni esami clinici al latitante agrigentino Ignazio Ribisi.

Prove giudicate però non sufficienti dai giudici di appello e arrivò l’assoluzione. Annullata dai supremi giudici. Adesso la condanna. I legali della difesa hanno sempre bollato come “suggestiva e non supportata da elementi oggettivi” la ricostruzione dell’accusa. Gli avvocati Nino Caleca e Grazia Volo da domani lavoreranno al nuovo ricorso in Cassazione.

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