Mafia in crisi a Catania, fra intrighi di potere, sparatorie e pestaggi

Mafia a Catania: crisi, giochi di potere, sparatorie e pestaggi

Le vicissitudini dei clan: dal capoluogo etneo alla provincia

CATANIA – Le fibrillazioni tra i clan di questi mesi si devono agli interessi in gioco. Elevatissimi, tra droga, pizzo, bische clandestine, corse dei cavalli e altri reati in qualche modo collegati. Tra le operazioni condotte dalle forze dell’ordine nell’ultimo anno, si annovera di tutto. Dal riciclaggio alle truffe, ai furti d’auto per le ricettazioni o per i cavalli di ritorno. Fino all’usura o allo sfruttamento della prostituzione.

Eppure, quello in corso è stato un anno nel quale le indagini di polizia, carabinieri e finanza, sotto il coordinamento della Dda, hanno inferto un duro colpo alla mafia catanese. Di recente, dall’inchiesta Ombra in poi – dalla cattura, cioè, dell’ultimo presunto boss dei Santapaola in circolazione, Francesco Russo – gli stessi clan hanno provato a riorganizzarsi internamente.

I Laudani e i loro tentacoli

Giarre, Paternò, Aci Catena, prima ancora Randazzo. Il clan Laudani, uno dei gruppi militari più pericolosi della galassia mafiosa dei Santapaola, negli ultimi due anni ha perso i propri referenti in questi territori. Ma ciò che ieri appariva scontato – vedi Laudani e leggi Santapaola – non lo è più. Un tempo il patriarca del clan, Sebastiano Laudani, fondatore, detto “mussi i ficurinia” pare avesse ‘intimato’ ai suoi di tenersi ben distanti dai Santapaola. Ma quello è il passato.

A Giarre i Di Grazia. Ad Aci Catena Orazio Scuto, uno il cui carisma criminale, per gli inquirenti che hanno messo a segno l’operazione “Lumia”, era talmente riconosciuto dal fatto di essere chiamato “papà” dai ragazzi. A Paternò Morabito, coinvolto nella clamorosa inchiesta Athena. Randazzo è la terra dei Sangani, gruppo mafioso agguerrito e fortemente radicato.

I Nizza in crisi nelle loro piazze di spaccio

Uno dei collaboratori di giustizia, Silvio Corra, nel corso di un interrogatorio raccontò che ai suoi tempi il gruppo dei Nizza al quale apparteneva comandava “sulle piazze di spaccio di San Cristoforo, Librino, Civita e San Giovanni Galermo”. Aveva l’ultima parola su tutto. Nel frattempo, però, parecchio se non tutto è cambiato. E il controllo delle piazze di spaccio è divenuto un affare che genera tensioni tra i gruppi rivali.

In una conversazione intercettata dagli investigatori, la moglie di un mafioso parlando con lui in carcere, spiega a chiare lettere che non c’è più nulla di scontato. Anzi c’era pure il ‘rischio’ – raccontava nel caso specifico  – che Lorenzo Saitta ‘lo scheletro’ tentasse i riprendersi la piazza di San Giovanni Galermo. Era il 2021. E la fibrillazione mafiosa era alle stelle. “Ora, per esempio, nell’aria c’è una voce, non so se ti è arrivata, nell’aria c’è una voce che lo “scheletro” è tornato in campo un’altra volta! E lo scheletro si prenderà San Giovanni! Perché già ha tutto sistemato!”.

I Cursoti milanesi e la faida interna

Il momentaccio dei “Cursoti milanesi”, dilaniati da una faida intera e dal tentativo di scalata di un secondo gruppo rispetto al leader storico Carmelo Di Stefano, alias “pasta ca sassa”, è storia già dal 2022. Il 19 aprile di quell’anno due presunti componenti del clan, Alfio Cristian Licciardello e Carmelo Tiralongo, si sarebbero messi a sparare con un fucile a canne mozze contro la vetrina di un negozio di toelettatura. L’obiettivo sarebbe stato un uomo vicino a Di Stefano.

Pochi giorni prima Tiralongo, detto ‘mentina’ era stato aggredito dai rivali. E voleva dimostrare di non aver paura di loro. E l’obiettivo designato degli spari, parlando con il figlio al telefono, avrebbe detto: “Vedi che mi ha sparato qua u Merluzzu”. Intrighi di potere e lotta di successione che, però, non sarebbero riusciti a modificare lo status quo.

A Caltagirone un regno senza re

Era il dicembre del 2020 quando morì Ciccio La Rocca, boss mafioso e assassino sanguinario ritenuto responsabile di numerosi delitti e già condannato all’ergastolo. Uno dei successori del boss sarebbe stato il figlio di La Rocca, Gianfranco, uno che tuttavia non avrebbe avuto – a detta di tutti – la “stoffa” del padre.

Da allora, nel feudo del Calatino la mafia tenta di riorganizzarsi. Clan che restano ancorati al territorio con il pizzo e la droga che sono ancora gli affari principali all’interno di un vuoto di potere che qualcuno tenterà di riempire.


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