PALERMO – “Tu a me con cinquanta euro non mi compri, mi avete raggirato”, diceva una giovane mamma all’uomo inviato da donna Teresa per metterci una pezza ed evitare “che questa ci consuma”. In effetti lo sfogo si limitò a quelle poche parole.
Cinquanta euro al mese per intestarsi, secondo i pm di Palermo, la proprietà di una casa ed evitare che l’immobile venisse sequestrato al reale proprietario. E cioè Tommaso Lo Presti, capomafia di Porta Nuova, la cui moglie, Teresa Marino, pure lei finita in carcere, aveva ristrutturato con i soldi del mandamento.
Una giovane donna, vedova e madre di tre figli, che si presta ad un gioco più grande di lei per pochi, pochissimi spiccioli. Non è la sola fra coloro che vivono nelle stradine attorno alla Vucciria e Ballarò, mercati storici di Palermo, o alla Zisa dove il castello del percorso arabo-normanno è una perla in mezzo ad ampie sacche di degrado. Un degrado innanzitutto culturale. Sembra una corte dei miracoli, l’insieme di viuzze che nel Medioevo erano abitate da straccioni, mendicanti ed emarginati sociali. Un microcosmo, quello odierno, che raccoglie le bricioli dal clan.
Ci si presta al gioco sporco per campare, ma anche per un meccanismo di riverenza nei confronti del mammasantissima di turno. Facevano a gara per dare una mano a donna Teresa prima che anche lei finisse in cercare. Compravano la spesa e le pagavano le bollette. Spesso non era neppure necessario che la moglie di Lo Presti facesse un fischio. I picciotti si facevano vivi prima ancora che la donna manifestasse un bisogno, indaffarata com’era a badare a figli e nipoti, senza potere contare sull’aiuto del marito.
All’inizio Teresa Marino era l’ambasciatrice di Lo Presti. Poi, aveva acquisito autorevolezza a Porta Nuova, il più potente fra i mandamenti mafiosi di Palermo: “… dice mio marito… avete la benevolenza di mio marito non facciamo che la dovremmo cambiare questa benevolenza..”. Per prima cosa ai familiari di Tommaso Lo Presti non dovevano mancare i soldi. Compresi i mille e 200 euro al mese per pagare la rata del mutuo della casa sequestrata ieri dalla sezione misure di prevenzione del Tribunale su richiesta del procuratore aggiunto Sergio Demontis.
Ci sono, però, tanti immobili e attività commerciali schermati grazie a prestanome mai individuati. “.. sono completi, sono completi tutti e tre, solo manca uno proprio… da un po’ di tempo che lo devono aprire Rosario… lo devono aprire tranquillo… vedi … uno, due sono… tre per ora …”, diceva la donna riferendosi ad alcuni locali nella zona della Vucciria. “… quello nostro è… – aggiungeva – … quello il primo… pure nostro è … tre ne stiamo aprendo la… quello con Paolo, quello con… Luca, gli abbiamo fatto fare le cose dal fabbro lo devono aprire pure… almeno aprissero loro con questi io pagherei tranquillamente …”.
Che si trattasse di attività commerciali emergeva con chiarezza nel passaggio successivo dell’intercettazione: “… onestamente in due mesi le entrate me li ha lasciate Rosario, quelli magari c’è il coso dei surgelati… abbiamo il coso dei surgelati pure… bene o male ci prendo che sono ottocento… mille… al mese, bene o male…”. “Scendendo le scale… dopo la via Roma… scendi sulla sinistra sopra…”: troppo generiche le indicazioni per guidare i carabinieri fino ai beni. Paolo, Rosario, Luca sono rimasti nomi senza volto.
È andata diversamente per la casa sequestrata e intestata alla giovane vedova. E qui si innesta un altro capitolo investigativo. La donna è nullatenente. I 50 euro le servivano per campare. Eppure un istituto bancario non ha avuto dubbio alcuno quando si presentò allo sportello per chiedere un mutuo da 165 mila euro. In verità, in banca potrebbe non averci messo piede. Qualcuno sbrigò le pratiche e lei si sarebbe limitata a mettere qua e là qualche firma di fronte a un funzionario magari troppo indaffarato per sentire puzza di bruciato. Questa, però, è un’altra storia, che si ripete spesso. Gli uomini e le donne che vivono nella corte dei miracoli hanno facile accesso al credito.