Un insospettabile imprenditore di Gela, Francesco Muncivì, 62 anni, ex consigliere comunale di Forza Italia fino al 2007, è stato arrestato dagli uomini della squadra mobile di Caltanissetta per associazione mafiosa ed estorsione aggravata, nell’ambito di un’operazione denominata ”Casa Nostra”. La magistratura lo ritiene organicamente inserito nella famiglia gelese degli ”Emmanuello”, di cui sarebbe stato per anni la ”longa manus”. Il provvedimento è stato eseguito durante la notte su ordine del gip del tribunale, Alessandra Giunta, che ha accolto un’apposita richiesta della Dda nissena.
Nei confronti del professionista è scattato anche il sequestro preventivo di 18 ettari di terreno, intestati alla società Fiass srl, amministrata dalla figlia, e un appartamento, in vico Spinello, del valore complessivo di circa un milione di euro.
Secondo l’accusa, Francesco Muncivì, nell’interesse degli Emmanuello, avrebbe gestito, come consulente, la realizzazione di una vera e propria cittadella residenziale composta da 170 alloggi, per conto di quattro cooperative edilizie: ”Città Futura”, ”Giada”, ”Halley” e ”Casa Nostra”. Il complesso abitativo sarebbe sorto sui suoi terreni, in contrada ”Catania-Casciana”, a nord-ovest di Gela, trasformati misteriosamente da agricoli in edificabili (malgrado il consiglio comunale non si fosse pronunciato nel merito), come zona Peep, grazie a una specifica delibera del commissario straordinario insediatosi al comune di Gela dopo le dimissioni del sindaco, Franco Gallo (Pd).
Un affare da decine di milioni di euro, che avrebbe permesso a Muncivì di estorcere denaro sia ai soci delle cooperative che alle imprese costruttrici, imponendo il pagamento di una tangente del 2% ”da versare – diceva, senza remore – alla famiglia di Daniele Emmanuello”, per mettere la loro attività al riparo da sicuri atti di ritorsioni. E per apparire più convincente si sarebbe presentato alle riunioni con gli imprenditori spalleggiato da un esponente mafioso, definendosi egli stesso ”uomo degli Emmanuello”. Imponeva poi i materiali più cari fuori capitolato, le ditte presso cui fornirsi (Sandro Missuto per il calcestruzzo, Orazio Pirro per la sabbia, tutti facenti capo a Cosa Nostra), le assunzioni fittizie di uomini del clan, le ”guardianie” e i lavori straordinari e gratuiti da effettuare presso le proprietà degli Emmanuello o di altri affiliati all’organizzazione.
Se qualcuno si rifiutava, era costretto a pagare un ”pizzo” più caro pari al 5%. Alcuni imprenditori, interrogati nel 2009 dalla polizia, dichiararono di essere sull’orlo del fallimento. Francesco Muncivì sarebbe stato molto vicino alla famiglia del latitante Daniele Emmanuello (ucciso nel 2007, a Enna, in un conflitto a fuoco con la polizia). Agli eredi sarebbe stato riservato uno dei 170 appartamenti. Muncivì, con il proprio figlio Paolo (anche lui consigliere comunale del PDL dal 2007 al 2010) avrebbe partecipato alla cresima della figliola del mafioso, nella chiesa S. Giacomo, e si sarebbe adoperato per fare trovare casa, a Roma, all’altro figlio del boss, Crocifisso, studente universitario iscritto alla Luiss.