La mafia nel centro commerciale | In 9 rischiano il processo - Live Sicilia

La mafia nel centro commerciale | In 9 rischiano il processo

Il Palazzo di giustizia di Palermo

L'indagine ruota attorno ad alcuni lavori realizzati durante la costruzione del centro commerciale La Torre di Palermo. Lavori su cui avrebbero acceso l'interesse le famiglie mafiose di Uditore e Passo di Rigano. Gli imprenditori, però, non si piegarono al volere dei clan.

PALERMO – Ci sarebbe tutto il repertorio di Cosa nostra nella vicenda che rischia di costare il processo a nove persone. La Procura ha chiuso le indagini e chiesto il rinvio a giudizio. L’udienza preliminare si svolgerà il prossimo 26 giugno. L’inchiesta ruota attorno ad alcuni lavori realizzati durante la costruzione del centro commerciale La Torre di Palermo. Lavori su cui avevano acceso l’interesse le famiglie mafiose di Uditore e Passo di Rigano.

Baldassare Migliore, già coinvolto nel 2008 nell’operazione Perseo, è accusato di tentata estorsione e illecita concorrenza con l’aggravante dall’articolo 7, quella prevista per i reati commessi che favoriscono la mafia. Migliore, nel 2008, avrebbe “giocato sporco” per assicurarsi, con la sua Ediltransport, il movimento terra per conto della società Palermo Recuperi srl* all’interno del cantiere dell’Ipercoop di Borgo Nuovo. Dopo l’assegnazione dei primi lavori di sbancamento, la ditta di Migliore era stata estromessa. Una delle imprese appaltatrici aveva dato il benservito alla Edilcostruzioni perché non era in grado di fornire la certificazioni antimafia prevista dal protocollo di legalità per evitare le infiltrazioni mafiose. Risultato: la ditta agrigentina che prese il posto della Edilcostruzioni subì una raffica di intimidazioni. Per prima cosa si presentarono in cantiere e minacciarono un operaio. Doveva andare via. Non c’era posto né per lui né per il suo titolare. Poi, presero di mira alcuni mezzi meccanici. Mandarono in frantumi finestrini e fari. L’imprenditore, però, non si piegò. E per Migliore scattarono le manette.

Dalle indagini successive sarebbe venuto fuori anche l’intreccio societario che, secondo i pubblici ministeri Vania Contrafatto e Francesca Mazzocco, serviva per evitare la scure delle misure di prevenzione. Dietro la Palermo Recuperi ci sarebbero stati Francesco Francofonti, già condannato per mafia, e Antonino Vernengo, indagato per lo stesso reato. I due avrebbe intestato fittiziamente l’impresa a Rosa Francofonti (figlia di Francesco), Antonina Provenzano (moglie di Vernengo) e Angelo Caruso. E sempre nel corso delle indagini sarebbe venuto fuori il reale assetto societario della Ipl group srl. Salvatore Imperiale, imputato per mafia, avrebbe trasferito alcune quote ai figli Francesco e Giuseppe.

Infine, Imperiale e Francofonti sarebbero stati protagonisti di un episodio di concorrenza sleale e violenza ai danni dell’impresa appaltatrice: avrebbero cosparso dell’amianto sul terreno del cantiere Ipercoop.

“Sono tutte accuse che nascono dall’erronea interpretazione di alcune intercettazioni – spiega il legale degli imputati, l’avvocato Tommaso De Lisi – non è un caso che già il Tribunale della libertà ci diede ragione, scarcerando Migliore”.

*Aggiornamento del 21 maggio ore 11,25

Riceviamo e pubblichiamo una nota da parte di Giampiero Barrile che scrive per conto della Palermo Recuperi di Bologna Antonino & c sas specificando che la stessa, con sede in viale Regione Siciliana 1427 sud est, nulla ha a che fare con la Palermo Recuperi srl citata nell’inchiesta.


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