PALERMO – L’omicidio Fragalà e non solo. Antonino Siragusa ai pm dice di essersi pentito davvero. E per dare prova della sua credibilità inizia a raccontare i segreti del clan mafioso del Borgo vecchio. Nella sua vita non ha fatto sempre il mafioso. Per un periodo ha cercato di lavorare onestamente: “…. io come mestiere faccio l’incastonatore, quello che mette le pietre nei gioielli… lavoravo con un sacco di compro oro… nella zona del Borgo Vecchio… compravo e vendevo pietre”.
Poi, però, arrivò la chiamata alle armi del clan del Borgo Vecchio, e per una breve parentesi, anche di Resuttana. Ed è proprio per un’estorsione a Resuttana che in passato è stato condannato. Fu il salto di qualità per uno come Siragusa cresciuto a pane e mafia sin “da bambino perché mio padre nell’89 è scomparso con la lupara bianca”.
I primi incarichi criminali il dichiarante li colloca “nel 2009″ quando “ho avuto contatti diretti con Antonino Abbate e Salvatore Ingrassia… Abbate era quello che comandava a Borgo Vecchio… Ingrassia come me ci occupavamo di estorsioni e danneggiamenti… fino al 2010… poi mi hanno arrestato per un residuo di pena… poi sono uscito in affidamento da Mimmo Russo… uno… da una cooperativa”. Russo è un politico molto noto al Borgo Vecchio che, da sindacalista, ha condotto tante battaglie per il reinserimento sociale degli ex detenuti.
Una volta tornato in libertà preferì restare defilato, “perché c’erano persone che non mi interessavano, come Gaspare Parisi”. Fino a quando “nel 2012 mio cugino Luigi Siragusa mi ha detto di darci una mano a Resuttana perché non avevano a nessuno…”. La convocazione arrivava da “Ciccio D’Alessandro, è morto questo… ci ho detto noi siamo del Borgo e ce ne andiamo a Resuttana?”. Era una stagione di grande fibrillazione perché “c’erano un poco di contrasti fra Fricano e Intravaia, quello che comandava là era Intravaia non Fricano”. Ci fu davvero un violento scontro, anche fisico, fra Gioacchino Intravaia e Giuseppe Fricano che all’inizio fu scelto per guidare il mandamento di Resuttana e poi allontanato.
Siragusa ammette di essersi occupato di “estorsioni”, che “le ordinava Abbate”, ma anche di piazzare i videopoker voluti da Cosa nostra. Si occupava di “installare le macchinette… ci stavamo per fare l’estorsione a questo che faceva i lavori là dentro allo stadio e basta…”.
Uomo del pizzo continuò ad esserselo “pure nel 2012, 2013, al Borgo con Giuseppe Tantillo (oggi collaboratore di giustizia, ndr)… aiutavo Giuseppe Tantillo ad andare a prendere i soldi a Pasqua e Natale”. Siragusa indica anche alcuni commercianti vittime del racket: “un benzinaio” nella zona dell’Ucciardone, “un fruttivendolo” e “un ottico” nei pressi di via Archimede. I pm lo bloccano quando Siragusa si dice pronto a parlare del suo ruolo di uomo del racket, a cominciare dal 2009. Una parte del verbale è coperto da omissis, ma di pizzo e di tanto altro ancora si parlerà nei prossimi interrogatori.