CATANIA – Giuseppe Trigila fu coinvolto nell’inchiesta della Dda di Catania che portò all’operazione Robin Hood. Blitz col quale venne azzerato il clan che prende il suo cognome. Una cosca in grado, tra il 2016 e il 2018, di crearsi una posizione di dominio sulle attività economiche delle zone a ridosso del Catanese. E delle province di Siracusa e Ragusa.
Adesso la Corte d’appello ha condannato a 6 anni e 5 mila euro di multa il 46enne Giuseppe Trigila. Esponente dell’omonimo clan, è stato ritenuto responsabile anche del reato di tentata estorsione aggravata. Era accusato anche di traffico di droga, ma da questa accusa è stato assolto. La sentenza è un concordato proposto dal suo legale, l’avvocato Francesco Antille.
La Corte
A emetterla la Corte presieduta da Antonino Fallone, consiglieri Maria Paola Cosentino e Salvatore Faro Faussone. Secondo l’accusa, Trigila fece parte del clan e tentò di imporre a due imprenditori titolari di un’azienda agricola e di un caseificio di non distribuire i propri prodotti a Noto.
Accuse che hanno retto i tre gradi di giudizio. Ora si è giunti al concordato dopo che la Suprema Corte ha annullato la parte relativa alla pena della precedente sentenza. Ordinando ai giudici – accogliendo il ricorso dell’avvocato Antille – di rivedere la pena al ribasso.
L’accusa
Per l’accusa, il clan Trigilia sarebbe riuscito a ottenere una posizione di dominio nel controllo delle attività economiche in una vasta area tra Noto, Avola, Pachino e Rosolini. Dalle indagini è emerso che il clan avrebbe controllato anche il comparto del trasporto su gomma di prodotti orto-frutticoli.
E, ancora, quello della produzione di pedane e imballaggi e della produzione e commercio di prodotti caseari, influendo e alterando le regole della concorrenza. L’attività d’indagine è partita negli ultimi mesi del 2016 e si è conclusa nell’estate del 2018.
U “caliddu”
Uno dei soggetti del clan, detto “u caliddu”, era colui che – grazie ai contatti con le aziende di autotrasporti che operavano nella zona sud della provincia e in quella della limitrofa Ragusa – si occupava di raccogliere i versamenti di denaro imposti agli operatori del settore per poter lavorare senza incorrere in problemi.
Attorno alle figure apicali, vi era poi un nutrito numero di fiancheggiatori e facilitatori che spesso si limitavano a fornire un contributo finalizzato a veicolare le informazioni e a fissare gli appuntamenti tra i sodali.
La base del clan
Infine, alla base del gruppo, operavano alcuni soggetti con mansioni prettamente esecutive, che avrebbero messo a disposizione la propria opera per favorire le attività utili alla conduzione del clan, quali le azioni intimidatorie, violente e le richieste estorsive.