Il derby comincia sulla via dello stadio. Mancano venti minuti alla partita. I catanesi in incognito posteggiano. Esce dall’abitacolo una ragazza col musetto di gattuccio spaventato, dal sedile tira fuori la sciarpa rossazzurra e la nasconde sotto il maglione. Un giorno verrà la libertà di circolare a Palermo con i colori del Catania. E viceversa.
Forse quel giorno non è poi troppo lontano. Platea ribollente, perché tra un minuto si comincia. Dal sottopassaggio del “Barbera” sbucano a braccetto “Zampa e Pulvi”. Come vecchi amici passeggiano sotto la curva del Catania e salutano a piene mani. Lo stadio applaude compatto. C’è qualche coro di catanesi in croce, etc etc… Ancora non può mancare. Lo consideriamo un tributo minimo all’imbecillità.
Si gioca. E quelli attaccano. Attaccano?! Ma come, mister Giampaolo non era un Guidolin giovane? Non era uno che erge muraglioni sull’arenile, inchiodando la cavalleria avversaria con un paziente controcanto di minatori e fanteria? Invece il suo Catania è uno spavaldo plotoncino di marines. Quando si apre il portellone, partono tutti in banda alla conquista, solo che gli manca l’artiglieria. Mischini. Così Gomez si presenta davanti a Tore Sirigu che inarca le reni e smanaccia, esaltandosi. Arriva Maxi il biondocrinito, mamma mia! Fuori. Come? Siamo sicuri? Fuori, ‘mbari, fattene una ragione.
Nel frattempo Pastore prepara le sue meraviglie, le cucina in un fornello segreto. L’invisibilità latente è la furbizia dei predestinati. El Flaco si sbozzola, si sporge dal guscio, mette la testina al bacio per un cross di Balza. Ed è già uno a zero, quasi senza volerlo. Vedo che si insiste con paragoni errati. Pastore è Cruyff giovane. Punto e basta. Né Kakà, né Zidane. Forse un po’ Platini. Una goccia, perché non ha l’aspetto tronfio del fuoriclasse francese. Egli – il Magro – si assenta dalle partite per guardarle, per certe misteriose e nebulose pause che prima lo confondevano. La novità è che adesso il ragazzo è cresciuto e sa riemergere dall’apnea. Il diagonale col cui fulmina Mariano Gonzalo è brutto, per esempio. I campioni sono tali perché diventano brutti e concreti al momento opportuno.
In tribuna il buon Sasà Salvaggio ride gioioso. Una vittoria di sollievo per scordare quel malaugurato e incredibile pronostico (e a Palermo non ce n’è uno che non sappia di cosa si parla). D’Agostino “The voice” è paonazzo come Pavarotti dopo sette do di petto. Il collega catanese si affloscia sul microfono, mentre i minuti passano. Plof. Non si rialza. La cavalleria rosanero, intanto, oltrepassa gli argini. Travolge l’accorta linea Maginot di mounsiuer Giampaolò.
Va fuori Miccoli in debito d’ossigeno. Entra Big Mac Maccarone che si divora tre gol come altrettanti panini malcotti. Per tutti i gusti: la mangiata a un passo dal portiere, l’errore in diagonale, lo scempio a porta vuota. L’ultima sortita è quella buona, è la protesi dell’apoteosi di Javier. Pare che passi di lì per caso, Pastore. Già che c’è, segna.
Bello e onesto il Catania nei suoi giocatori e nei suoi bravi tifosi. Ma qui a Palermo abbiamo Javier Pastore. Ed è come avere un angelo a tempo determinato. Sappiamo che volerà in altri cieli in una notte stellata. Però, finché resta qui, il miracolo è servito. Anche questo bel derby di pace e sano sport tra Palermo e Catania non è un sogno con le ali?