Condannato a dodici anni | Il boss arrestato dopo il verdetto - Live Sicilia

Condannato a dodici anni | Il boss arrestato dopo il verdetto

Messicati Vitale latitante a Bali

In manette Antonino Messicati Vitale che aveva trascorso la latitanza al sole di Bali.

PALERMO – Lo hanno arrestato fuori dal Palazzo di giustizia subito dopo la sentenza di condanna a 12 anni per mafia. Antonino Messicati Vitale, boss di Villabate, torna in carcere su disposizione del giudice per l’udienza preliminare Fabrizio Molinari. I carabinieri del Comando provinciale erano pronti ad ogni evenienza. Proprio come l’imputato che si era portato dietro gli effetti personali in un borsone. Per tutta la mattinata Messicati Vitale era apparso sereno. Occhiali da sole e camicia bianca, passeggiava all’esterno dei nuovi uffici giudiziari.

La ribalta della cronaca giudiziaria arriva nell’aprile del 2011. Sono i giorni dell’operazione Sisma. Aprile 2011. I carabinieri arrestano i pezzi grossi della mafia di Misilmeri. È il giorno in cui Antonino Messicati Vitale si dà alla latitanza. Nel corso di una perquisizione nella casa di Portella di Mare, dove Messicati Vitale viveva con la madre e la sorella, i militari trovano un video. Si vede il latitante seduto al tavolo di ristorante. Il boss di Villabate fa una richiesta al violinista. Vuole ascoltare la colonna sonora del film Il Padrino. Un video, ma anche delle fotografie di un lussuoso albergo con una piscina dalla forma insolita e con tanto di giardino al centro.

Il giorno del blitz all’aeroporto di Punta Raisi atterra il fratello di Tonino Messicati Vitale, Fabio, con la famiglia al seguito. Sono partiti da Bali, in Indonesia. Gli investigatori passano al setaccio le immagini di decine di siti internet. E scovano la piscina. Si trova nell’hotel Puri Puri Kecil in località Basangkasa Kuta. Messicati Vitale se la spassa nei migliori locali, vive in un lussuoso mini appartamento, non bada a spese e si rilassa in spiaggia leggendo i best seller di Dan Brown.

La sua latitanza finisce duecento giorni dopo il blitz Sisma. I carabinieri del Nucleo investigativo di Palermo lo sorprendono a letto. Non oppone alcuna resistenza. A soli quarantanni ha già un curriculum di tutto rispetto. Capomafia di Villabate, erede dei boss che avevano firmato un patto d’onore con Bernardo Provenzano, e dieci anni di carcere già scontati. Il suo è un cognome storico in Cosa nostra. Il padre Pietro, condannato al primo maxi processo alle cosche, fu crivellato di colpi vicino la sua abitazione a Capo Zafferano, fra Aspra e Porticello. Sono i soldi la chiave del suo successo. Soldi che lo avrebbero condotto prima in Sud Africa e poi in Indonesia. Nel video della serata al ristorante, quello in cui suonano le note de il Padrino su richiesta del latitante, di spalle si vede la faccia di un un uomo con i capelli bianchi. Si tratta di Gaetano Tinnirello, condannato nel primo maxi processo alla mafia, e nome storico nel clan di Corso dei Mille. Un grande vecchio di recente finito di nuovo nei guai giudiziari. Nel 2013, però arriva la prima scarcerazione per decorrenza dei termini di custodia cautelare. Pochi mesi dopo il nuovo arresto e la nuova scarcerazione. Nei termini di carcerazione preventiva andavano inclusi anche i giorni trascorsi nelle prigioni indonesiane.

Probabilmente l’arresto del 2014 gli ha salvato la vita. Lo ha raccontato il pentito di Bagheria, Salvatore Sollima. “Tonino Messicati aveva dato ordini di prendersi il paese di Villabate nelle mani sue, che già c’era Giuseppe Costa, io e Pitaressi, dove lui Vitale – ricostruì Sollima – autorizza uno che ci dicono u francisi… autorizza a lui di dirgli a Giuseppe Costa di consegnare la lista del paese a lui.”. Erano pronti a tutto, anche ad eliminare Messicati Vitale. “Qua stava succedendo qualche sparatoria – raccontava Sollima – alle cinque andava in caserma a firmare… non è successo mai nulla perché c’erano ogni volta che noi andavamo da lui c’era sempre qualche impedimento, c’erano troppi carabinieri, forse stavano facendo indagini su di lui, una cosa del genere”. L’omicidio avrebbe scatenato certamente una guerra di mafia perché secondo gli investigatori Messicati Vitale godeva dell’appoggio di tutti, anche dei boss palermitani, specie quelli del mandamento di Porta Nuova.

Un appoggio incondizionato descritto da un altro pentito, Antonino Zarcone. C’era pure lui seduto al tavolo di una trattoria a Mondello assieme a Messicati Vitale, Giulio Caporrimo, (reggente del mandamento di San Lorenzo), Nicola Milano, Tommaso Di Giovanni, Alessandro D’Ambrogio e Tonino Seranella (tutti di Porta Nuova). “Si parlava per quanto riguarda di eliminare a Giovanni D’Agati (boss di Villabate, ndr) – metteva a verbale Zarcone – essendo che Giovanni girava che chiedeva aiuto a vari esponenti per potersi reinserire di nuovo a prendere il controllo della famiglia di Villabate e sta cosa diciamo non era ben vista, perché si poteva pensare che Giovanni D’Agati poteva fare qualcosa contro Tonino Messicati Vitale”.

 


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