PALERMO – Costituivano lo zoccolo duro su cui poteva contare Matteo Messina Denaro prima dell’arresto. Avrebbero gestito il potere nel Trapanese per nome e per conto del padrino. A cominciare dal cognato Gaspare Como. L’accusa regge anche in appello, anche se ci sono degli sconti di pena per gli imputati. Il processo nasceva dal blitz “Anno Zero” del 2018. La sentenza è stata emessa ieri sera, giovedì 28 marzo, a Palermo.
Carabinieri, Dia e polizia arrestarono boss, estorsori e gregari delle famiglie di Castelvetrano, Partanna e Mazara del Vallo. Oltre a Como, marito della sorella di Matteo Messina Denaro, Bice, all’inizio era imputato anche Rosario Allegra, che ha sposato l’altra sorella Giovanna, ma nel frattempo è deceduto.
Secondo la Procura di Palermo, Gaspare Como guidava la famiglia di Castelvetrano, mentre Dario Messina sarebbe stato il reggente del mandamento mafioso di Mazara del Vallo.
Gli imputati condannati
Dario Messina 22 anni e mezzo (tre in meno del primo grado), Gaspare Como 22 anni (tre in meno del primo grado), Vittorio Signorello 18 anni (erano stati 22) Vito Bono 11 anni (contro 17 del primo grado), Giovanni Mattarella 10 anni (erano stati 17, difeso dagli avvocati Tommaso De Lisi e Maria Paola Polizzi) Giuseppe Accardo 5 anni (ne aveva avuto 7).
Pene confermate per Maria Letizia Asaro (4 anni), Carlo Cattaneo (16 anni, impegnato nel settore delle sale giochi e scommesse on line), Bruno Giacalone (17 anni), l’e consigliere comunale di Castelvetrano Calogero Giambalvo (4 anni), Carlo Lanzetta (4 anni), Nicola Scaminaci (4 anni).
Il biglietto del latitante
Nell’estate del 2017 era stata registrata una conversazione all’interno della macchina di Dario Messina: “… mi è arrivato questo coso a me… già appena mi è arrivato questo coso mi sono venuti i tic, ho detto: a posto… c’era quello e gli ho detto: aspetta un minuto, prendi qua… gli ho detto… che devo portare la risposta subito. Minchia appena ho visto Dario Me…”. Era un messaggio dell’allora latitante.