Dalla 'caverna' all'ospedale: la via obbligata di Messina Denaro - Live Sicilia

Dalla ‘caverna’ all’ospedale: la via obbligata di Messina Denaro

Nel verbale del febbraio scorso tanti i riferimenti ad un archivio segreto
L'INTERROGATORIO
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PALERMO – Riscrivere la storia. Negare le verità processuali. Ad esempio quella raggiunta sul fallito attentato al commissario Rino Germanà. Matteo Messina Denaro assieme a Leoluca Bagarella e Giuseppe Graviano faceva parte del commando entrato in azione il 14 settembre 1992, sul lungomare “Fata Morgana” di Mazara del Vallo. Fecero fuoco con i kalashnikov. 

“Non gli sparai anche perché con il mio occhio così – mette a verbale il padrino lo scorso febbraio – se gli sparavo io lo prendevo. Da quello che dicono le carte eravamo in tre… anche le carte dicono che guidavo la macchina… certo che ci hanno sparato ma a criterio mio non se lo meritava”. Fa diverse volte riferimento alle carte, infine Messina Denaro taglia corto: “Non c’ero, non c’ero, ero nascosto, non ero nemmeno ero a Mazara io”.

Messina Denaro: “Io criminale onesto, latitante a Palermo”

Dopo l’arresto dal gennaio scorso è stata trovata una montagna di documenti nel covo di Messina Denaro e a casa dei parenti. Gli investigatori sono certi che ci sia da qualche parte un archivio segreto. La risposta del capomafia è ambigua: “Ma la mia vita non è che era solo a Campobello, ma queste cose io qualora ce le avessi non le darei mai, non ha senso per il mio tipo di mentalità”.

Mentalità mafiosa di cui si vanta: “Allora ascolti non voglio fare il superuomo e nemmeno arrogante, voi mi avete preso per la malattia senza la malattia non mi prendevate… sono solo, voi avete una tecnologia inimmaginabile e come mi devo difendere. Dissi allora facciamo una cosa… la tecnologia con la caverna veda che non si potranno mai incontrare e vivevo da caverna… telefonini non ne avevo non avevo niente e non ne avevo per davvero perché sapevo che… se mi metto con la modernità vado a sbattere… anche perché la nostra generazione non è che aveva il telefonino da giovane, quindi sapevamo vivere anche senza il telefonino”.

Ad un certo punto della vita Messina Denaro fu costretto a usare un cellulare, aveva necessità di essere contattato dalle strutture sanitarie per le cure mediche: “Mi sono fatto il telefonino però soltanto per la malattia infatti sapevo ora vado a sbattere, lo sapevo che andavo a sbattere non sapevo quando ma lo sapevo perché ho abbassato di molto le mie difese. La Maddalena veda che a me mi telefonava decine di volte durante la settimana per curarmi anche da casa come si fa senza telefonino ma poi nemmeno t’accettano… ma computer non c’era motivo e non ne presi mai”.

Niente pc, Messina Denaro preferiva usare carta e penna. Tanti gli scritti destinati alla figlia: “… lei deve notare una cosa quando lei apre la prima copertina quella grigia nel frontespizio c’è messo 3… però gli altri due mia figlia non ce li ha non li ha mai avuti li ho conservati io ma lei non li ha mai avuti perché aspettavo che fosse grande”. Dove li ha conservati? “In un posto”. In altri luoghi? “E certo”. Ed ecco il mistero dell’archivio segreto che, per stessa ammissione di Matteo Messina Denaro, esiste ed è nascosto chissà dove. Non sembra essere una fantasia creata ad arte dal padrino per alimentare il mistero sulla sua latitanza.


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