Messina Denaro: "Ero all'estero ma tornavo, ci sono persone che..."

Messina Denaro: “Ero all’estero ma tornavo, ci sono persone che…”

Il verbale senza omissis del padrino

PALERMO – “Ero all’estero signor presidente”, dice Matteo Messina Denaro. L’interrogatorio, di cui sveliamo il contenuto integrale, si è svolto davanti al giudice per le indagini preliminari Alfredo Montalto e ai pubblici ministeri Giovanni Antoci e Gianluca De Leo. È il 16 febbraio scorso. Il capomafia trapanese sembra fare delle ammissioni, in realtà è sfuggente. Le sue parole sanno di depistaggio. Ad esempio quando sostiene di non essere stato uno degli stragisti.

L’ingrosso di oreficeria

Parte da un dato storico accertato: i rapporti con Francesco Geraci, il gioielliere che custodì l’oro di Totò Riina, amico d’infanzia e complice di Matteo Messina Denaro, divenuto collaboratore di giustizia e morto da qualche mese a causa della stessa malattia che ha ucciso il boss. Gli investigatori sono certi di avere identificato una delle identità che Messina Denaro celava dietro dei nomi in codice. “Malato” sarebbe Andrea Geraci, fratello di Francesco.

Erano soci in affari: “La gioielleria la fece un suo fratello che si chiamava Andrea, dico si chiamava perché è morto nel frattempo. Ad un tratto lui mi disse che volevano ingrandirsi se io volevo partecipare anche perché avevano bisogno di liquidità… non era una gioielleria, era un deposito all’ingrosso di oreficeria, cioè da noi non veniva, da loro non veniva il privato al dettaglio e si comprava la collanina, da noi compravano le gioiellerie le oreficerie che poi vendevano al pubblico. L’oro a quei tempi si comprava a Vicenza, ad Arezzo e a Valenza… si compra 20 chili, 30 chili, 15 chili non è che compravamo noi la collana di 100 grammi”.

Il poker col boss pentito

La società si interruppe con il pentimento di Geraci. Di soldi ne giravano parecchi. Era un periodo “che si giocava forte a tutti i giochi e in questo circolo di Mazara… eravamo un centinaio di persone sempre le stesse facce che giocavamo, parlo di poker di baccarà”. Tra i frequentatori c’era pure un altro mafioso divenuto collaboratore di giustizia, Vincenzo Sinacori.

“Ero circondato”

“Negli ultimi 15 anni dal 2005 non mi posso muovere più nella maniera più totale. Sono circondato dappertutto… se io ho la mentalità di continuare o di fare soldi vado a sbattere nel giro di una settimana perché per fare queste cose devo stare a contatto con persone – racconta Messina Denaro – io invece in questi anni mi sono soltanto dedicato a non farmi prendere, a proteggere la mia libertà, perché era un mio diritto restare libero, secondo il mio punto di vista, come essere umano quindi si figuri se andavo a pensare di fare affari con qualcuno anche perché io di mio vivevo già abbastanza bene”.

“Sono andato via”

E così decise di andare via: “Quando vidi tutta questa pressione su di me me ne andai perché in questi trent’anni che cosa ho fatto io? Ha sentito più morti ammazzati, bombe, queste cose mi faccia capire (dunque si addosserebbe la colpa per ciò che è accaduto prima dopo avere negato anche di fare parte di Cosa Nostra?). Allora che cosa faccio capisco che io ho fatto un ordine nella mia mente nel senso le cose più importanti e le cose meno importante. La cosa più importante dal mio punto di vista mi risulta essere la mia libertà, in quel momento ho deciso di andarmene perché capivo che non potevo durare se cercavo di fare soldi, non potevo durare per un altro motivo perché non c’era più la qualità delle persone in giro mi spiego”(anche questa sembra un’ammissione).

“Ero all’estero, ma tornavo”

Di tanto in tanto rientrava a casa: “Tornavo per i miei familiari, perché io i contatti con la mia famiglia non li ho mai persi, perché quella è la mia famiglia giusto. Però me ne sono andato e ogni tanto venivo stavo una settimana, 15 giorni un mese e me ne riandavo e ho fatto 15 anni così. Ero all’estero signor presidente, me ne sono andato all’estero per circa 15 anni ho fatto questa vita tornavo. Cioè la mia
vita me la svolgevo là, qua non mi interessai più di niente, io no in Sicilia e nemmeno in Italia perché sappiamo che andavo a sbattere, che senso ha per me che voglio restare libero”.

“Ci sono persone che hanno cose”

All’estero dove? “No, no non lo dico questo perché ci sono persone che mi hanno aiutato, ci sono persone che hanno cose mie, ma più che altro che mi hanno aiutato e io non ho mai infamato nessuno e morirò senza infamare nessuno questo è Messina Denaro”.

Energie alternative e supermercati

Niente affari dunque. La storia giudiziaria al contrario dice che Messina Denaro ha fatto soldi a palate anche con le energie alternative e grazie alle società di Vito Nicastri. Il capomafia nega. La chiama “la rivoluzione dei pali”, tira in ballo “i politici… ognuno per una sua posizione di potere” ma, dice, “io un centesimo di questi pali mai l’ho preso.. i pali concernevano situazioni losche o cose del genere che pure io mi rifiutavo, non lo potevo fare perché andavo a sbattere, mi avrebbero arrestato molto prima. Se vuole sapere come ho fatto soldi glielo posso pure spiegare”. E tira furi la storia, questa sì già nota, dei reperti archeologici trafugati e venduti ai collezionisti di mezzo mondo”.

Ciò che ammette è il grande affare dei supermercati creato con il suo braccio operativo Giuseppe Grigoli. Nulla però dice di avere fatto negli anni di fuga: “Nella latitanza no perché da come avevo impostato tutte le mie cose li avevamo già sistemati poi c’erano le cose che finivano, come i supermercati sono finiti ad esempio, ma detto questo io in latitanza non ho più investito”.


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