Messina Denaro: "Malato", l'identità nascosta è il fratello del pentito

Messina Denaro: “Malato”, ecco la prima identità nascosta

Svelato uno primi nomi in codice contenuti nei pizzini trovati a casa della sorella

PALERMO – Gli investigatori sono certi di avere identificato una delle identità che Matteo Messina Denaro nascondeva usando dei nomi in codice. È il fratello di un pentito. “Malato” sarebbe Andrea Geraci, fratello del gioielliere Francesco, amico di gioventù del boss di Castelvetrano, custode del tesoro di Totò Riina.

Francesco Geraci, morto di recente, diventò collaboratore di giustizia, accusando il padrino di Castelvetrano di avere partecipato alle stragi di mafia del ’92 e del ’93.

Il pizzino nell’asse da stiro

A casa della sorella Rosalia, in via Alberto Mario, nascosti nella base dell’asse da stiro, c’erano due foglietti, nei quali la donna aveva annotato, oltre al saldo provvisorio della cassa e alle uscite (12.400
euro mensili), anche alcune entrate: “2.500” in una occasione e “4.500” in un’altra. Il denaro, così scriveva Rosalia, le era stato consegnato da Malato”.

Null’altro c’era scritto, nessuna spiegazione: “Una estorsione o una elargizione quale sodale o vicino all’associazione mafiosa?”, si chiedono gli investigatori.

Andrea Geraci era stato condannato in virtù delle dichiarazioni del fratello Francesco Geraci, l’ex collaboratore di giustizia amico d’infanzia di Matteo Messina Denaro. Originario di Castelvetrano, ha vissuto in una località segreta dopo essere uscito dal programma di protezione. Da tempo soffriva di un tumore al colon, la stessa malattia del boss.

“Con Matteo Messina Denaro ci conosciamo dall’infanzia perché giocavamo assieme da piccolini. Abita vicino casa mia, in linea d’aria saranno un 200 metri”, aveva dichiarato in un’udienza di qualche anno addietro dopo avere cominciato a collaborare con la giustizia.

Il gioielliere pentito

Francesco Geraci, gioielliere, era conosciuto per avere nascosto gli oggetti preziosi di Totò Riina a Castelvetrano: collier, orecchini, crocifissi tempestati di brillanti, diamanti, sterline e lingotti d’oro per un valore di oltre 2 miliardi di lire.

Mai formalmente affiliato, Geraci è stato presente in una delle pagine più buie della storia d’Italia. Ben presto sarebbe diventato molto più di un amico d’infanzia per il padrino trapanese. Al processo d’appello “Capaci bis” a Caltanissetta ha ricostruito la trasferta a Roma ai primi del ‘92 per uccidere Giovanni Falcone, Maurizio Costanzo, Michele Santoro e Pippo Baudo.

Totò Riina aveva dato l’ordine di uccidere Falcone a Roma, dopo il trasferimento alla direzione degli Affari penali del ministero della Giustizia. Il suo racconto partiva dall’inizio: “Andammo a Palermo, con Matteo Messina Denaro, ad una riunione, alla quale non mi fecero prendere parte, credo perché non contavo niente. C’erano Matteo Messina Denaro, Renzo Tinnirello, i fratelli Graviano, Enzo Sinacori, Salvatore Biondo, e lì si è deciso che si doveva andare a Roma”.

Il commando si spostò in trasferta: “Nella Capitale eravamo io, Matteo Messina Denaro, Giuseppe Graviano, Renzo Tinnirello, Enzo Sinacori, e un’altra persona. Mi portarono a Roma perché avevo la carta di credito. E lì presi una macchina a noleggio. Quando partimmo per Roma, io sono andato con Enzo Sinacori in aereo, Matteo Messina Denaro è partito con Renzo Tinnirello, e Giuseppe Graviano è partito con Fifo De Cristoforo. Avevamo compiti differenti”.

Il piano era “di mettere il tritolo in un bidone dell’immondizia o in una macchina vicino al teatro dove si faceva il Maurizio Costanzo Show. Io e Sinacori siamo andati anche a fare un sopralluogo. Di armi a Roma non ne ho viste. Le avevo viste invece a Mazara del Vallo quando le stavano preparando. C’erano dei kalashnikov che Matteo Messina Denaro ed Enzo Sinacori provarono nelle miniere in disuso. C’erano delle pistole. Moltissime armi comunque. Matteo ha comprato moltissime armi nuove, almeno 500 milioni di lire di armi, poi le hanno seppellite”.

Geraci fu arrestato 1994, due anni dopo iniziò a collaborare con la giustizia: “Io facevo il grossista di oreficeria, mi facevano tantissime rapine, anche con sequestro di persona. Allora mi sono rivolto a Messina Denaro per avere protezione, mettendomi a sua disposizione. E da lì non mi è più successo niente. Da lì però è cominciato il calvario, mi hanno fatto sparare pure a una persona che è morta, mi facevano cercare sempre, è stata la rovina della mia vita”.

Il pizzino trovato a casa di Rosalia Messina Denaro è certamente successivo all’inizio della collaborazione. Perché Andrea Geraci avrebbe dato i soldi alla sorella del capomafia, tradito dal fratello pentito?

“Condor”, “Ciliegia”, “Reparto”, “grezzo”, “parmigiano”: sono tanti i componenti della strettissima cerchia di fedelissimi, compresa una possibile talpa, che vanno identificate.


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