Maledice la "gentaccia", gli interrogatori di Messina Denaro

Messina Denaro maledice la “gentaccia” ma è stato un depistatore

Il padrino rancoroso ha avvelenato i pozzi

PALERMO – Avvelenatore di pozzi, mistificatore e depistatore. Gli interrogatori ci lasciano questa immagine di Matteo Messina Denaro. Quello che ha raccontato ai magistrati nei mesi successivi all’arresto ha un valore investigativo nullo. Nessuno si aspettava il contrario.

Gli interrogatori di Messina Denaro

Ha sostenuto di non avere partecipato alla strage di Firenze (fosse stato per lui – lo dice in astratto perché naturalmente nega il suo ruolo – non avrebbe fato esplodere le bombe perché è stato come usare le “cannonate per uccidere una mosca”). È stata organizzata da “gente che non vale niente”. Ha negato di avere ucciso il piccolo Giuseppe Di Matteo, facendo una disquisizione che provoca il voltastomaco per distinguere le colpe di chi ha sequestrato il bambino da quelle di chi lo ha strangolato e sciolto nell’acido per zittire il padre collaboratore di giustizia. Ha mentito sostenendo che non fosse incinta la donna che ha fatto ammazzare perché credeva che avesse visto troppo.

Ha solo ammesso di conoscere persone morte, alle quali non può più arrecare danno, e su quelle vive, come i componenti della famiglia Bonafede, ha provato a sminuirne il ruolo. Come avrebbe potuto negare d’altra parte l’evidenza che i Bonafede lo hanno aiutato e assistito per chissà quanto tempo. Per il resto si anche divertito quando ha detto di essere stato all’estero (senza rivelare naturalmente dove) o di avere nascosto affari (senza dire chi lo ha aiutato a fare soldi).

Le volte in cui si è arrabbiato

Su tre argomenti è apparso sincero, e arrabbiato. Quando si è difeso dall’accusa di avere tentato con la minaccia di recuperare un terreno (ha difeso la roba di famiglia). Scrisse addirittura una lettera di suo pugno pur difendere l’onore. Quando ha proferito parole di odio verso i pentiti. “Gentaccia”, così ha definito i Brusca. Quando ha “assolto” Totò Riina che straparlava nel carcere di Opera prendendosela con Messina Denaro perché pensava solo ai soldi. Non ci stava più con la testa, ne è sicuro il capomafia. Altrimenti mai si sarebbe espresso in quel modo.

Bisogna dunque maneggiare con cura le sue dichiarazioni. Servono a tracciare il suo essere mafioso. L’imperativo è stare al riparo dal rischio di inseguire nuovi fantasmi dando retta ad un criminale stragista che sapeva di avere i giorni contati a causa della malattia. “Sulla strage di Capaci non sapete ancora tutto”, ha aggiunto. Francamente è l’ultima persona che ha il diritto di dire la sua su certi argomenti. O meglio, lo avrebbe potuto fare pentendosi. Non lo ha fatto.


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