Messina Denaro, la reazione delle sue vittime: "Il perdono è impossibile"

Messina Denaro, la reazione delle sue vittime: “Il perdono è impossibile”

Per alcuni è cronaca. Per altri è dolore che non passerà mai
LA MORTE DEL BOSS
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PALERMO- Per loro la morte di un boss sanguinario non è solo un fatto di cronaca, ma qualcosa che smuove ricordi, in profondità, e lascia riaffiorare, ancora di più, un dolore mai sepolto accanto ai corpi degli uccisi. Loro hanno il volto dolente delle vittime di mafia che, in un modo o nell’altro, sono state colpite dalla ferocia di un uomo, simbolo, attore e protagonista del male che ha devastato la vita di tutti, ad alcuni in misura maggiore. Per questi sopravvissuti la fine di Matteo Messina Denaro è un evento anche personale, nel nome di un lutto incancellabile.

“Nessun perdono”

“Ancora devo metabolizzare la notizia. Con sé si porta dietro tanti segreti. Ero certo che non avrebbe collaborato”. Così dice all’agenzia Adnkronos Nicola Di Matteo, fratello di Giuseppe, il bambino strangolato e poi sciolto nell’acido, di cui resta una foto a cavallo che ripubblichiamo, l’immagine di una felicità spezzata. “Il perdono è impossibile – dice Nicola -. Sono tutti imperdonabili. Tutti. Lo sono per mia madre soprattutto, ma anche per me. Non sono belle giornate, ancora una volta alla mente vengono quei giorni terribili. E’ una ferita che si riapre sempre, un segno che rimane a vita. Era un bambino, solo un bambino…”.

“Porta con sé i suoi segreti”

Sempre Adnkronos ha raccolto le parole di Salvatore Borsellino, fratello del giudice Paolo, assassinato con la scorta in via D’Amelio. “L’arresto di Matteo Messina Denaro – dice Borsellino – non è stata una vera e propria cattura, sapeva di essere malato e ha pensato di farsi curare dallo Stato invece che in latitanza. Oggi, con la sua morte si porta i suoi terribili segreti nella tomba. D’altra parte era impensabile che un criminale di quello spessore si potesse pentire. Era assolutamente improbabile. Con la sua fine non credo si chiuda niente. La mafia non è stata sconfitta, anzi è più forte di prima. Non ho motivo per rallegrarmi. Penso solo che oggi è morto un criminale, ma nessuno mi ridarà mio fratello né la verità sulla strage in cui ha perso la vita”.

“Avrei voluto dirgli…”

Il quotidiano Avvenire ha ascoltato Tilde Montinaro, sorella di Antonio, il caposcorta del giudice Giovanni Falcone, morto, con gli altri, nella strage di Capaci. “E’ come ritornare a quel 23 maggio, una giornata che è entrata violentemente nella nostra famiglia – dice – e ha segnato un punto di non ritorno. Il dolore non aiuta a fare scelte ragionate ma io, anche grazie all’aiuto di Libera e di don Luigi Ciotti, ho cercato in questi anni di sostituire l’idea bruttissima di vederlo morto, di vederlo soffrire, magari invocando la pena di morte, con quella della verità e della giustizia”.

“Il perdono arriva dopo un percorso, ma soprattutto va chiesto – continua Tilde -. E non mi sembra che abbia avuto la dignità né di pentirsi, né di collaborare, né tantomeno di chiedere il perdono. Non so se avrei voluto incontrarlo, ma se l’avessi potuto fare gli avrei chiesto di parlare, perché ci sono tanti figli, tante madri, tante sorelle che aspettano quella verità, tante madri, come la mia, che se ne sono andate senza avere la possibilità di sapere che cosa è accaduto in quegli anni delle stragi”. Per alcuni è cronaca. Per altri è dolore. Che non passerà mai. 

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