Messina Denaro mandante delle stragi del '92: ergastolo

Messina Denaro mandante delle stragi del ’92: ergastolo

La Corte di assise di appello conferma la sentenza di condanna
CALTANISSETTA
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PALERMO – Anche per i giudici di secondo grado Matteo Messina Denaro è stato uno dei mandanti delle stragi di Capaci e Via D’Amelio. La Corte di Assise di appello Caltanissetta, presieduta da Maria Carmela Giannazzo, ha confermato la condanna all’ergastolo. La sentenza arriva nel giorno in cui ricorre il trentunesimo anniversario dell’uccisione di Paolo Borsellino, Agostino Catalano, Emanuela Loi, Eddie Walter Cosina, Claudio Traina, Vincenzo Li Muli. Durante la lettura del dispositivo l’imputato non c’era. Ha rinunciato al collegamento dal carcere a L’Aquila.

Gli eccidi del 1992 facevano parte di una più ampia strategia stragista che avrebbe seminato morte anche nell’anno successivo e a cui Messina Denaro “ha partecipato con consapevolezza, dando un consenso, una disponibilità totale della propria persona, dei propri uomini, del proprio territorio, delle famiglie trapanesi al piano di Riina che ne fu così rafforzato”. Per anni il padrino era rimasto fuori dai processi per gli eccidi.

“Dedizione a Totò Riina”

Il latitante mostrò “totale dedizione” ai corleonesi. Rispose signorsì quando Totò Riina decise che bisognava alzare l’asticella dell’orrore. La strategia delle bombe fu ideata a partire dall’autunno del 1991, quando cominciò a delinearsi che le accuse del Maxiprocesso erano solide e avrebbero retto fino in Cassazione. Per Cosa Nostra sarebbe stata una batosta. I boss ne discussero per la prima volta ad Enna.

Riina volle il consenso di tutti i rappresentanti provinciali, perché in caso contrario sarebbe stato necessario zittire i riottosi. Messina Denaro contribuì “a stroncare sul nascere le voci del dissenso interno. Avere il consenso di Matteo Messina Denaro gli consentiva di avere delle spie in ogni anfratto di Cosa Nostra che potevano portare alla luce quelli che erano i dissensi interni. Matteo Messina Denaro serve proprio a questo, a stanare e uccidere i riottosi”.

Il maxiprocesso e la “super cosa”

Il 30 gennaio 1992 la Cassazione confermò le condanne. Totò Riina poteva contare su un gruppo di persone fidate che chiamava “super cosa”, a cui affidò il compito di organizzare a Roma l’attentato a Falcone. Poi, però cambia idea: il giudice, e nemico numero uno, doveva morire a Capaci. Il procuratore generale Antonio Patti, nella sua requisitoria preparata assieme ai colleghi Fabiola Furnari e Gaetano Bono, aveva ricostruito che “la riunione per gli auguri di Natale del 1991 avviene prima del 13 dicembre. I nomi delle persone da eliminare, ha riferito Antonino Giuffrè (boss di Caccamo, divenuto collaboratore di giustizia) si sapevano: Falcone, Borsellino, Salvo Lima, Martelli e Mannino. Giuffrè rimase impressionato da quella riunione perché era finito il tempo delle chiacchiere e bisognava agire. Venne etichettata come la riunione della resa dei conti. Dopo le parole di Riina scese un silenzio assoluto”.

La missione romana

Prima c’era stata una missione romana. Un commando partì dalla Sicilia per eliminare Giovanni Falcone, Claudio Martelli, Maurizio Costanzo, Maurizio Costanzo, Michele Santoro e Pippo Baudo. Nella Capitale c’erano Francesco Geraci (poi divenuto collaboratore di giustizia), Matteo Messina Denaro, Giuseppe Graviano, Renzo Tinnirello, Enzo Sinacori, Salvatore Biondo. Quando tutto sembrava pronto, il gruppo venne richiamato in Sicilia da Totò Riina. E riempirono di tritolo l’autostrada a Capaci e via D’Amelio.

Messina Denaro si complimenta con il legale

Messina Denaro ha inviato alla sua legale d’ufficio, l’avvocato Adriana Vella, un telegramma per complimentarsi per l’arringa difensiva. “Del poco che so mi è piaciuta la sua arringa”, ha scritto, augurandole “buona vita”. Il legale aveva chiesto l’assoluzione dell’imputato perché “sulla scorta delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, nonché delle sentenze irrevocabili acquisite nel corso dell’istruttoria dibattimentale, emerge l’assoluta incertezza dell’effettivo ruolo che Matteo Messina Denaro rivestiva all’interno della compagine mafiosa trapanese”. Secondo la difesa, non ci sarebbero “elementi indiziari gravi precisi e concordanti in merito alla partecipazione dell’imputato in seno alle riunioni in cui fu deliberato il piano stragista”. Messina Denaro in quel momento storico non sarebbe stato il numero uno della mafia trapanese.


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