Dalle ossa rotte alla libertà| Scarcerato il boss Nicola Milano - Live Sicilia

Dalle ossa rotte alla libertà| Scarcerato il boss Nicola Milano

Sono venute meno delle esigenze cautelari. Ha solo il divieto di dimora in città.

PALERMO – Ha rischiato trent’anni di carcere, lui stesso – così emergeva dalle intercettazioni – era preoccupato di beccarne “almeno quindici”, alla fine ne ha scontato quatto anni e sei mesi. Due mesi in meno della condanna rimediata in appello. Nicola Milano (nella foto), boss di Porta Nuova, ieri sera è tornato libero. Scarcerazione anticipata dalla Corte d’appello per il venir meno delle esigenze cautelari. Ha solo il divieto di dimora a Palermo.

Analogo provvedimento per Gabriele Buccheri (difeso dagli avvocati Raffaele Bonsignore e Antonio Turrisi) che aveva avuto la stessa pena. Buccheri era un uomo del pizzo, faceva parte della manovalanza del racket. Altro spessore quello di Milano. Classe ’74, figlio di Nunzio e nipote di Salvatore Milano – nomi storici della mafia di Porta Nuova – Nicola era già stato arrestato nel 2006, nell’operazione “Gotha” che aveva decapitato le cosche di Palermo. Era dipinto come uno dei dirigenti del mandamento, uno degli uomini più vicini a Gianni Nicchi, allora astro nascente della Cosa nostra palermitana.

Dal carcere aveva assistito alla morte del suo “padrino”, quel Nicola Ingarao ucciso dal clan Lo Piccolo come ritorsione nei confronti del gruppo legato a Nino Rotolo, il capomafia di Pagliarelli che aveva messo le mani sulla città e dichiarato guerra al “barone” di Tommaso Natale. Di quei mafiosi nessuno era più in circolazione e Nicola Milano, uscito dal carcere, secondo l’accusa, era andato a ricoprire il ruolo che gli spettava di capo del mandamento di Porta Nuova.

Solo che l’accusa di avere guidato il potente clan che domina sulla fetta centrale della città si è sgretolata in dibattimento. I suoi legali, gli avvocati Michele Giovinco e Debora Speciale, si sono giocati la carta vincente dell’imprecisione dei pentiti. I collaboratori, infatti, avevano descritto l’alternanza di Milano al potere con Tommaso Di Giovanni. Impossibile stabilire, per i reati oggetto del processo, se fossero stati commessi o meno sotto la sua guida.

Non solo nel corso del processo sono cadute per un difetto di contestazione le aggravanti dell’utilizzo delle armi e del reimpiego dei soldi accumulati in maniera illecita. E così il tetto di pena è sceso da trent’anni a sette anni, poi diminuiti di un terzo come previsto per chi sceglie l’abbreviato.

Nicola Milano non si tirava indietro. Non poteva sfuggire agli “obblighi”, nonostante sapesse di avere “gli sbirri addosso”. Il giorno che i carabinieri andarono ad ammanettarlo di nuovo, nel 2011, Milano aveva mangiato la foglia. Nei suoi ultimi quindici giorni di libertà aveva dormito ogni notte in un posto diverso, anche in un garage. Alla fine era rientrato a casa. La sua cattura non fu semplice. I carabinieri lo trovarono penzolante sul cornicione del quinto piano. Quando sfondarono la porta dell’appartamento scoprirono che aveva tentato una fuga disperata, cadendo rovinosamente a terra nel ballatoio del palazzo. Rimediò una frattura al malleolo destro, un trauma a quello sinistro e la rottura del tallone.

 


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