Ormai ne sono sicura. Questo fatto dell’autonomia dei bambini dipende dalle latitudini. Più si sale a nord , più pare che nascano insignati. Madre sicula di tre bambini, sono arrivata in Francia quando il più piccolo frequentava ancora l’asilo. Qui, subito, le mie connaturate tendenze anarchiche si sono scontrate epicamente con il rigore e la severità dell’educazione française.
Primo giorno di scuola. Varcata la soglia dell’asilo, tenendo mio figlio per mano, mi appaiono, schierati in bella mostra come file dei marines, innumerevoli passeggini parcheggiati all’ingresso, con dentro bambini non più grandi di sei mesi. Stavano lì, da soli, senza ombra di adulti nei paraggi, immobili e muti come statue. Solo gli occhietti si muovevano, quale unico segno che fossero tutti vivi.
Li osservavo rapita ed esterrefatta: ma perché i miei figli a quell’età , soli sul passeggino, abbandonati all’ingresso di una scuola, imbacuccati come salami… perché su quel passeggino non sarebbero durati più di tre minuti? Avrebbero cominciato a dimenarsi, a strapparsi i capelli, a urlare disperati e a inscenare un pianto dirotto e ininterrotto finché la mamma non fosse corsa a liberarli da quelle briglie per stringerseli al petto e sussurrare dolci parole di conforto.
E invece, dopo una buona oretta, quelle mamme e balie che si erano intrattenute con gli insegnanti, recuperavano i passeggini con un mezzo sorriso e, trionfalmente, tornavano da dove erano venute, lasciandomi a bocca aperta, con un vago senso di umiliazione e sconfitta. Era solo l’inizio. Se i bambini sono già così « sages» a sei mesi, arrivati in prima elementare sono praticamente adulti.
Te li vedi sfrecciare, piccole figure sotto il mezzo metro di altezza, per le strade trafficate, con i loro monopattini, zaino in spalla, che rientrano a casa da soli fischiettando. Oppure, appena più grandetti, fare da babysitter ai fratellini più piccoli, quando mamma e papà sono partiti per il week end. State tranquilli, andate sereni!
Se poi la statistica è che tre su cinque rientrano a scuola, regolarmente, con un arto ingessato, c’est la vie e va presa con philosophie! La mia amica mamma di cinque figlie, una settimana si e l’altra no, si presenta a scuola con una figlia fasciata. E non senza un certo compiaciuto orgoglio. Com’è successo?, chiedo. “Niente, giocava a mosca cieca su un cornicione mentre ero al teatro”.
Che conquista l’autonomia! Inutile dire che se temporeggio un attimo prima di consegnare le chiavi di casa al bambino di sei anni, sono una madre troppo apprensiva e anche un poco arretrata.
Chissà cosa penserebbero, allora, delle chat delle loro “colleghe” italiane, delle foto in tempo reale della gita scolastica, delle rappresaglie contro la maestra che ha vietato il telefonino in classe. Della convinzione benedetta che “mio figlio? NO PERCHÉ È MIO FIGLIO, ma è un cornutazzo!”. E quindi può fare tutto quello che vuole.
A queste latitudini, ordine e disciplina si mangiano con gli omogeneizzati e le responsabilità si assumono sul seggiolone. La notte il neonato piange? Chiudi la porta così non lo senti più. Capirà, smetterà, maturerà. Ok. E se lo accompagni ancora a letto e ti siedi con lui, stai crescendo un rammollito senza speranze.
Sarà tutto giusto, non lo so. Ma una cosa è certa. Dentro di me, non trattengo un sorriso di soddisfazione quando la maestra, risentita, mi dice che mio figlio, pur bravo nello studio, non esegue sempre al volo gli ordini (prendi il quaderno, posa il libro) perché “il reve”.
Il reve. Lui sogna. Più bella cosa di questa, in fondo, non posso aspettarmi da lui.