PALERMO – L’autista personale del capogruppo dell’Udc prima e del Pid poi, Rudy Maira, aveva un contratto di collaborazione. Un co.co.co che gli ha fruttato tra il 2010 e il 2012 stipendi per circa 90 mila euro. Le motivazioni che hanno giustificato la stipula dei suoi contratti, però, hanno fatto saltare sulla sedia gli inquirenti. La prima volta l’autista risultava arruolato per l’elaborazione di una proposta di legge che aveva a che fare con le problematiche del traffico urbano. E fin qui saremmo in tema con il suo lavoro di “autista personale di Maira” come lo definiscono i finanzieri del Nucleo spesa pubblica. La seconda collaborazione prevedeva, invece, che l’autista si occupasse di un progetto per la formazione del personale per le relazioni con il pubblico durante le manifestazioni sportive.
Che c’entravano con l’incarico di guidare una macchina? Alla domanda specifica Rudy Maira si è limitato a dire di non conoscere che tipo di contratto avesse Giorgio Patrizio Cardella del quale ha confermato, però, le mansioni: “Era il mio autista”.
La verità è che Rudy Maira alza il tiro. Punta al cuore dell’inchiesta per cercare di smontare la ricostruzione dei pubblici ministeri sulle spese “folli” dei gruppi parlamentari all’Ars. Prima ammette di “avere esagerato”, lui come gli altri, ma poi circoscrive il suo operato di capogruppo ai rigori del recinto normativo. Si è sempre mosso negli spazi che la legge gli garantiva. Qui sta il nocciolo dell’attacco all’inchiesta da parte di Maira: i soldi perderebbero la loro natura pubblica una volta assegnati dal Parlamento siciliano ai gruppi che sono degli enti di diritto privato. Le spese, di conseguenza, non sarebbero più soggette alla rendicontazione. Balle, dicono gli investigatori. Di fronte ad una richiesta esplicita di chiarimenti da parte della magistratura e della finanza, come sta avvenendo adesso, le spese vanno dimostrate e giustificate. Sempre e comunque.
Qui si gioca la partita fra i pm e Maira che presto presenterà una memoria per spiegare nel dettaglio quali sono, a suo dire, le leggi a cui ha fatto rifermento dicendo ai giornalisti di essere “convinto di avere rispettato tutte le norme dettate dall’Assemblea regionale siciliana”. Tutto regolare: dai 50 mila euro per le due Audi A6, le cui fatture per il leasing erano caricate sulla partita Iva del deputato, ai 40 mila circa incassati a titolò di indennità di presidenza. Anzi, sulle macchine Maira – che ha chiesto di non essere frainteso – ha spiegato di essere abituato a girare in Maserati e non sapeva che farsene dell’Audi targata Ars.
Per Maira, dunque, una cosa è “esagerare”, un’altra andare fuorilegge. Non c’è alcun reato nel modo in cui sono stati spesi i soldi dei gruppi di cui è stato leader nella scorsa legislatura. Ecco perché non ha fatto fatica alcuna, davanti ai pm Sergio Demontis e Maurizio Agnello che coordinano l’inchiesta con il collega Luca Battinieri e l’aggiunto Leonardo Agueci, ad ammettere di non avere rifiutato – mai – le richiesta degli onorevoli colleghi di ottenere un anticipo dei soldi assegnati loro (per la cronaca anche gli anticipi costituirebbero, secondo i pm, ipotesi di reato ndr). Maira è accusato di peculato per avere distratto centinaia di migliaia di euro in concorso con Nino Dina, Salvatore Cascio, Salvatore Cordaro, Marco Forzese, Pippo Gianni, Giuseppe Lo Giudice, Orazio Ragusa, Marianna Caronia, Santo Catalano.
E persino le ceste natalizie o i regali ai dipendenti (ce ne sono alcuni che avrebbero continuato a ricevere soldi dopo essere andati in pensione) sarebbero stati leciti perché, secondo Maira, rientravano fra le spese di finanziamento dell’attività del gruppo che si nutre anche di “pubbliche relazioni”.