PALERMO – I cadaveri sono ancora sull’asfalto in via Falsomiele, una strada sotto la montagna che domina la borgata di Santa Maria del Gesù. È presto, troppo presto per fare ipotesi. Al momento si stanno mettendo assieme i dati certi di una mattina di sangue. Tutto fa pensare che si sia trattato di un agguato di mafia per la dinamica e per il cognome di una delle vittime.
Le vittime
Bersaglio dei killer sono stati Vincenzo Bontà, 45 anni, e Giuseppe Vela, di 53 anni. La vita del primo, spezzata stamani, affonda le radici in Cosa nostra. Bontà era figlio di Nino, boss ergastolano, deceduto nel 2011. Ed era pure genero di Giovanni Bontade, altro storico boss della zona, fratello di Stefano, il principe di Villagrazia. Entrambi morti ammazzati. Singolare la storia di un fratello di Vincenzo Bontà, Gaetano, oggi libero. Era stato arrestato alla metà degli anni Novanta quando ormai, secondo i giudici, era un fuoriuscito da Cosa nostra. Da “uomo d’onore” era ed è diventato un “uomo di fede” dedito ad aiutare i bisognosi e gli ammalati. Una vita irreprensibile. La sua condotta fu giudicata incompatibile con le regole dell’organizzazione criminale. Dalla mafia si esce o morti o diventando pentiti: Gaetano è l’unico nella storia di Cosa nostra, atti giudiziari alla mano, ad avere percorso una terza via.
Il fratello ucciso stamani ufficialmente non aveva un lavoro, si occupava di badare alle terre di famiglia. Perché fra Santa Maria del Gesù e Villagrazia ci sono ancora i latifondi di proprietà dei Bontade. Su di lui nulla emergeva dalle recenti indagini. E dire che l’ultimo blitz contro i clan della zona è di pochi mesi fa.
Cognome pesante quello dei Bontade, costato grane alle due cognate della vittima: una è la moglie di un dipendente di Sicilia e Servizi licenziato da Antonio Ingroia e reintegrato dal Tribunale; l’altra, finì alla ribalta della cronaca alcuni anni fa perché faceva parte di un’associazione, guidata da Padre Mario Golesano, il successore di padre Puglisi a Brancaccio, che aveva ottenuto un bene confiscato. E ai cronisti disse tranciante che i suoi genitori erano morti ammazzati quando lei era ancora una bambina e nella sua vita aveva sempre e solo seguito la bussola della legalità. Così come le altre sorelle che con il passato nulla hanno dimostrato di avere a che fare.
Vela, invece, faceva il giardiniere e rischia di essere la vittima innocente della furia omicida dei killer, indirizzata su Bontà. Potrebbe essersi trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato. Sul parabrezza della macchina, lato passeggero, c’era un foro. Non è escluso che dalla macchina sia sceso solo Bontà e che Vela lo abbia atteso seduto. Poi, uno dei killer avrebbe fatto fuoco contro di lui, costringendolo a tentare una fuga disperata e inutile.
La dinamica
Le vittime avevano probabilmente un appuntamento con i loro carnefici. È questa l’ipotesi più plausibile. Sono arrivati in via Falsomiele a bordo di una Fiat 500 L. L’auto è stata trovata dagli uomini della Squadra mobile chiusa e con il freno a mano tirato. Segno che i due o forse il solo Bontà è sceso dall’auto per incontrare qualcuno. Due o forse tre killer hanno iniziato a fare fuoco con pistole calibro 9, colpendoli in più parti del corpo. Contro Bontà è stato esploso, infine, il colpo di grazia alla testa. Non ci sono telecamere su posto e al momento, neppure testimoni. La via, seppure abitata, sembra una strada di campagna. Oppure i killer sapevano già quali erano gli spostamenti di Bontà e hanno atteso che arrivasse.
L’agguato ha tutti i macabri requisiti per essere definito mafioso. Ma ogni altra ipotesi investigativa viene lasciata aperta dai poliziotti guidati dal capo della Mobile, Rodolfo Ruperti, e dai pm che indagano sulle cosche della zona: l’aggiunto Agueci e i sostituti Demontis e Camilleri. Il procuratore Francesco Lo Voi non si avventura in frettolose analisi. Si limita a dire che “la mafia a Santa Maria di Gesù c’è ed è forte”. Il resto dovrà essere scoperto.