Ora che le deleghe del governo sicilianista sono state distribuite e la Regione è stata così prepotentemente “decuffarizzata”, ora che Lombardo e Miccichè, i due alleati forti, hanno saputo così bene spartirsi le spoglie di quel grande apparato di potere che s’intestava all’Udc, vogliamo finalmente tirar di conto e vedere chi è il vero e unico vincitore di questa turbinosa battaglia di mezza estate?
Che Raffaele Lombardo e Gianfranco Miccichè siano diventati i padroni della Regione non può negarlo nessuno. Certo, ancora debbono spiegare al mondo e anche a noi poveri sicilianuzzi come riusciranno a tirare avanti senza una maggioranza all’Assemblea regionale; ma intanto dominano governo e sottogoverno, uffici di gabinetto e vertici burocratici, società di servizio e società collegate; hanno spaccato il Pdl e il correntone del Pdl; hanno spaccato gli ex di An e persino quel mostro sacro e paludoso del Pd. Con una idea fissa: umiliare i nemici. Prendete, per esempio, Renato Schifani. Fino a un mese fa credeva di essere il padre padrone del Pdl e amava accreditarsi come l’unico consigliere in grado di influenzare le scelte dell’Imperatore. Ma alla stretta finale la situazione gli si è rovesciata addosso: Berlusconi ha incoronato Lombardo e Lombardo tratta ormai il presidente del Senato come l’esponente di una corrente di minoranza del Pdl.
Nella distribuzione delle deleghe al “suo” Mario Milone è toccato, guarda caso, l’assessorato al Territorio: una scelta di serie B.
L’altro perdente è Angelino Alfano, ministro Guardasigilli. Fino a un mese fa era il plenipotenziario del Cavaliere e sembrava che l’unico suo divertimento – politico, va da sè – fosse quello di tenere inchiodati in un angolo quell’arruffone di Miccichè e i quattro straccioni del Pdl che ancora gli andavano dietro. Era talmente sicuro di sè, il ministro, che voleva prendersi tutto.
Tanto è vero che aveva nominato coordinatore del partito in Sicilia Giuseppe Castiglione, il più acerrimo nemico di Lombardo.
Ma alla stretta finale, quando Berlusconi si è guardato bene dal seguire i consigli di Castiglione e dei coordinatori nazionali del Pdl, la minestra si è rovesciata addosso anche a lui. Lo prova il fatto che i vincitori hanno riservato al suo uomo, Nino Beninati, un assessorato politicamente tra i meno incisivi: i Lavori Pubblici. Mentre a Dore Misuraca, che si è staccato da Alfano per schierarsi con Lombardo e Miccichè, è stato assegnato un assessorato di maggior peso: il “suo” Gaetano Armao, oltre alla Presidenza, ha la delega per la protezione civile e la programmazione, con un controllo non secondario sui fondi europei.
Terzo perdente, Ignazio La Russa, ministro della Difesa. Aveva dato copertura ad Alfano nell’assalto a Lombardo e aveva affiancato a Castiglione, come coordinatore di complemento, Domenico Nania. Ma alla stretta finale, ci ha rimesso le penne pure lui: Nania non ha avuto nemmeno il contentino di un assessorato di serie C. I due uomini scelti dal presidente della Regione per rappresentare gli ex di An sono Luigi Gentile e Nino Strano, due fedelissimi di Pippo Scalia, l’ex coordinatore sostenuto da Fini ma defenestrato in malo modo proprio da La Russa.
Tutto qui? No. Schifani, La Russa e Alfano, non c’è dubbio, hanno pagato un prezzo alto e amaro. Da uomini di punta delle istituzioni sono stati costretti a subire, in terra di Sicilia, una batosta che brucerà ancora per molto tempo e che distillerà altro fiele e altri rancori. Resta però in piedi una domanda: la loro sconfitta è solo opera di Lombardo e Miccichè oppure dietro questo rovesciamento di forze, così improvviso e così inaspettato, c’è la regia callida e sapiente di un siciliano d’alto mare come Marcello Dell’Utri?
I perdenti, a cominciare da Totò Cuffaro, sostengono apertamente – non senza l’aggiunta di pesantissime allusioni – che, al momento decisivo, Berlusconi ha preferito ascoltare i consigli del suo vecchio amico di Publitalia anzichè quelli del giovane Alfano. Da qui il successo di Miccichè, talmente legato a Dell’Utri da dichiarare pubblicamente, in una intervista al Corriere della Sera, che “dietro Miccichè c’è stato e ci sarà sempre Dell’Utri”.
Una ammissione che gli fa onore. Un qualunque quaraquaqua, chiamato a parlare di un amico condannato in primo grado a nove anni per mafia, avrebbe cercato di sfumare i toni e di barricarsi dietro il politically correct. Invece Miccichè, che veniva intervistato sulle prospettive di un ipotetico partito del Sud, è stato fin troppo esplicito: dietro di lui c’è stato e ci sarà sempre Dell’Utri. Che cosa significa? Per trovare una risposta credibile è necessario allontanare lo sguardo dalla Sicilia e concentrarsi su ciò che succede nel cuore di Roma, per l’esattezza a palazzo Grazioli, residenza dell’Imperatore. Lì dove fino a poco tempo fa c’era gaiezza e certezza del potere ora c’è inquietudine e preoccupazione. Quante ragazzine, quante escort, quante veline, hanno conosciuto quei saloni e quelle stanze da letto? Quanto potrà durare il tiro al bersaglio di Repubblica, della magistratura e della stampa internazionale? Visto che la legge sulle intercettazioni non passa e sul lodo Alfano pesa il giudizio della Corte Costituzionale, l’Imperatore avrà quel colpo d’ala capace di sottrarlo alla trappola mortale? Saprà inventarsi una seconda vita politica più severa e più credibile? Le domande potrebbero continuare all’infinito. Ma l’effetto dei tanti interrogativi è uno solo: che non c’è a Roma un solo uomo politico, di alta o di bassa statura, che non abbia già messo nel conto la possibilità che l’Imperatore esca di scena prima della scadenza naturale. Tutti pronti, dunque, per la guerra di successione.
Se questo è lo scenario, quale sarà il ruolo di Dell’Utri che nel ’94 fu il cervello organizzativo della discesa in campo del Cavaliere? Potrà il socio fondatore di Forza Italia affrontare senza truppe la battaglia, che si preannuncia lunga e dolorosa, per la conquista del trono? Potrà mai rischiare di essere travolto da un ex missino come Gianfranco Fini o da un ex socialista come Giulio Tremonti? Potrà mai affrontare l’onta di essere scavalcato o messo da parte da un Alfano sempre più rampante o da uno Schifani sempre più invadente?
Piaccia o no, uno dei pochi ad avere in mano un disegno per affrontare il dopo-Berlusconi è proprio Dell’Utri. Con il partito del Sud, appunto, quel partito tanto auspicato e tanto accarezzato da Miccichè e Lombardo. Dentro “Forza Sud”, sembra questa la sigla fortunata, ci sono gli uomini e i vettovagliamenti necessari, le lobby massoniche e i poteri forti; c’è una linea politica e c’è un forte legame con il territorio, simile a quello che la Lega di Bossi ha con il Nord. Cosa si può volere di piu’?
Strano destino però quello degli ardori meridionalisti. Negli anni Cinquanta, quando la Sicilia scopriva la propria vocazione autonomista o addirittura separatista, i capipopolo riscuotevano l’applauso sghembo e scellerato dei mafiosi: il film di Rosi sul bandito Giuliano sta lì a dimostrarlo. I sicilianisti di oggi, invece, hanno il sostegno leale e convinto dell’antimafia militante, a cominciare dai duri e puri chiamati da Lombardo a far parte del suo governo.
Dell’Utri è veramente grande. E Miccichè è il suo profeta. Viva la Sicilia. Viva Santa Rosalia.
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