La battaglia di civiltà per garantire condizioni di vita dignitose e di reale recupero all’interno degli istituti di pena è, da sempre, tra le priorità dei Radicali Italiani. Furono Mauro Mellini, Adele Faccio, Emma Bonino e Marco Pannella nel 1976, infatti, ad attivare al Parlamento la facoltà di visita di sindacato ispettivo nelle carceri – che attualmente è prerogativa di deputati, senatori, consiglieri regionali e garanti per i diritti dei detenuti, e per estensione permessa anche ai parlamentari europei – andando a verificare l’attuazione dei programmi di reinserimento ma soprattutto la vivibilità dovuta ai detenuti e agli agenti di polizia penitenziaria, agli infermieri e a chi all’interno, quotidianamente vi presta servizio.
Ne abbiamo parlato con l’onorevole Rita Bernardini, già segretaria di Radicali Italiani, eletta nell’aprile del 2008 alla Camera dei deputati, nelle liste del Partito Democratico, all’interno della delegazione Radicale nel PD. Rita Bernardini dedica la sua attività principalmente al tema della giustizia (abolizione dell’obbligatorietà dell’azione penale, la responsabilità civile dei magistrati, la riforma in senso uninominale del sistema elettorale del Consiglio Superiore della Magistratura) e nel febbraio 2010 ha condotto uno sciopero della fame per l’ottenimento di dieci obiettivi politici che riguardano principalmente le carceri e la trasparenza delle istituzioni.
“A noi, chiaramente, non interessa soltanto denunciare – dice – ma ci aspettiamo dei risultati che migliorino anche la situazione di chi lavora nelle carceri, ed è per questo che parliamo sempre di comunità penitenziaria, rivolgendoci anche a chi, oltre ai detenuti, è sottoposto ad una brutalità inaccettabile e costante. Grazie alla lotta parlamentare e non violenta eravamo riusciti ad ottenere dei risultati dignitosi e fare approvare nel gennaio 2010 la mozione sulle carceri; in seguito al mio sciopero della fame per la sua attuazione, venne fuori il primo disegno di legge Alfano, poi massacrato in Commissione Giustizia. Sarebbe stato comunque un risultato, perché sarebbero andati ai domiciliari circa 13 –14 mila detenuti giunti all’ultimo anno di detenzione. Non è così, invece, e i soli 2 mila di adesso non sono numeri che incidono sul problema”.
Parliamo di numeri. Com’è la situazione?
“Oggi tocchiamo il punto più basso: 69.500 detenuti stipati in posti pari a 43.000, che poi è la capienza ordinaria di legge”.
In Sicilia, dove siete stati l’estate scorsa, dove avete riscontrato la situazione più critica?
“Senz’altro a Favignana, all’Ucciardone di Palermo, a Gazzi (Messina) e a PiazzaLanza (Catania). Lì la violazione dei diritti umani è sistematica e abbiamo presentato al riguardo anche delle denunce alle Procure della Repubblica di Messina e Catania dopo le visite. La mancanza di igiene è totale, il sovraffollamento anche. In un caso abbiamo trovato dei letti a castello a 4 piani, topi, scarafaggi, sporcizia”.
Quante carceri avete visitato in Sicilia complessivamente?
In totale, Favignana, per due volte, prima e dopo ferragosto, Piazza Lanza (Catania), nel novembre 2010, Nicosia (Enna), Caltagirone (Catania), Piazza Armerina (Enna), poi Enna, Mistretta (Messina), l’Ucciardone di Palermo e le carceri di Termini Imerese”.
Le vostre visite come si svolgono? Avete modo di ascoltare i detenuti?
“Assolutamente sì. Per noi è fondamentale. Incontriamo intanto il direttore dell’istituto e il comandante degli agenti che ci accompagnano nella visita anche con i medici, gli infermieri e chi è addetto alla salute dei tossicodipendenti. Visitiamo cella per cella, parliamo con tutti. Ascoltiamo le loro richieste e le loro disperazioni. Non dimenticherò una frase che mi fu detta da un detenuto nel carcere di Messina, che ritengo significativa: “Qui i gatti si impauriscono dei topi”.
Ricorda una testimonianza, qualche episodio di denuncia, in particolare?
“Tantissimi, ce ne sono a migliaia e sono quasi tutti oggetto delle interrogazioni parlamentari presentate dopo le visite carcerarie. Intanto confermo che l’organico di polizia penitenziaria effettivamente in servizio negli istituti è fortemente carente e dal punto di vista strutturale le condizioni delle carceri, quelle 4 che ho citato prima in particolare, continuano ad essere oltremodo fatiscenti, assolutamente inadeguate ad ospitare esseri umani. A Favignana abbiamo appreso anche che veniva praticato il sistema definito «nudo a cella liscia» in isolamento, cioè completamente nudi e senza materasso. Il trattamento minacciato e in alcuni casi riservato a chi dava in escandescenze”.
Quali “successi” avete ottenuto nel tempo?
“Nel 1980 grazie all’azione non violenta di Adelaide Aglietta ed Emma Bonino i Radicali riuscirono a conquistare la smilitarizzazione del corpo di polizia penitenziaria e la riforma che permise all’Italia di recepire nell’ordinamento penitenziario le norme che riguardano l’umanizzazione delle carceri intesi come luoghi dove il detenuto possa pagare il suo debito con la giustizia ma anche avviare un percorso per il reintegro nella società”.
Cosa è emerso di nuovo nelle visite in Sicilia l’estate scorsa?
“A Favignana siamo anche ritornati, viste le richieste e le segnalazioni numerose accolte anche dopo ferragosto. C’è una bella novità. In seguito alla visita fatta alle carceri di Piazza Armerina assieme al sindaco di Enna, Paolo Garofalo, del Pd, abbiamo appreso che i primi cittadini in realtà non hanno questa facoltà di visita ispettiva senza preavviso negli istituti di pena e per questo motivo, su indicazione dello stesso Garofalo, ho presentato un’interrogazione affinché la prerogativa venga estesa anche ai sindaci – che sono la prima autorità sanitaria di un territorio – e ai presidenti di provincia. Stiamo ricevendo sostegni da tutta Italia e per la trasversalità politica di questa proposta riteniamo che l’idea si possa presto concretizzare”.