Nicosia, la mafia e Messina Denaro | "Il carcere deve essere abolito..." - Live Sicilia

Nicosia, la mafia e Messina Denaro | “Il carcere deve essere abolito…”

Una vicenda torbida. Un'inchiesta che fa tremare. E una proposta provocatoria dal volontariato.

Nella storia delle accuse ad Antonello Nicosia che – secondo la cronaca fin qui disponibile, sempre in aggiornamento, in attesa del giudizio (qui la sua difesa) – ‘avrebbe sfruttato il suo ruolo di assistente parlamentare di una deputata nazionale per entrare in carcere, parlare con potenti mafiosi e portarne all’esterno le direttive, minacciare altri detenuti’; in questa maleodorante vicenda di intercettazioni, frasi che ripugnano e incroci pericolosi, c’è un convitato di pietra: il carcere, appunto. Sede di anime (con)dannate, talune in cerca di una redenzione, agglomerato di corpi posizionati gli uni sugli altri, asfissia delle buone intenzioni, nella maggioranza dei casi.

Ed ecco la domanda che circonda la trama dell’uomo che sarebbe stato vicino a Messina Denaro, un quesito a furor di popolo (i social ne traboccano): è davvero così facile entrare dalle parti delle celle e mettersi a disposizione di chiunque, sfruttando magari un ruolo apparentemente votato al miglioramento delle condizioni di chi vive dietro le sbarre? Non sarebbe più saggio ‘buttare le chiavi’ e chi è dentro e dentro, mentre chi è fuori resti fuori, per evitare rischi?

Proprio seguendo un’esigenza contraria, Pino Apprendi, presidente di ‘Antigone Sicilia’ che si batte per i diritti dei detenuti, ha scritto su Facebook: “La vicenda che coinvolge Antonello Nicosia, oltre il merito delle accuse e delle deplorevoli frasi su Falcone e Borsellino, non può accendere nuovi focolai negativi sull’attività delle visite nelle carceri che tanti volontari fanno tutto l’anno”. Una risposta alla marea che sale.

“Purtroppo – insiste Apprendi – si sta alimentando un brutto clima. Prima c’era l’idea sbagliata della prigione come albergo a cinque stelle, ora si va oltre. Chi sconta una pena, secondo questa opinione pubblica, deve soffrire il più possibile. Se si sta male, è meglio. E certo che chi ha sbagliato deve pagare, ma nel rispetto della dignità ed è necessario che tra le sbarre sopravviva un mondo aperto che possa continuare a comunicare con l’esterno. Altro che giro di vite. Le carceri siciliane hanno un alto tasso di invivibilità. Non solo il sovraffollamento, c’è il problema del mancato diritto alla salute, inclusa quella mentale che non viene seguita”.

Concetti cari all’avvocato Fabio Bognanni, responsabile regionale dell’Osservatorio carcere dell’Unione camere penali e vicepresidente della camera penale di Palermo: “Il dato di cronaca è semplice: il sistema relazionale del carcere non può essere messo in discussione da un singolo episodio. Quel sistema garantisce trasparenza nei confronti di tutti. La situazione delle carceri siciliane? Si soffre per la carenza di risorse strutturali ed è particolarmente urgente il tema della salute, con particolare riguardo al disagio psichiatrico. La Sicilia occidentale, per esempio, è priva dei ‘rems’ ( residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza, ndr) che hanno sostituito gli ospedali psichiatrici giudiziari”.

Il carcere come pentola in ebollizione che cuoce il dolore. Non si contano i suicidi e gli atti di autolesionismo, senza dimenticare che il malessere coinvolge e travolge il personale penitenziario. Sono gli altri prigionieri di un meccanismo drammatico.

Maurizio Artale, del centro ‘Padre nostro di Brancaccio che ha aiutato tanti a reinserirsi, introduce una provocazione: “Il carcere non dovrebbe esistere. Sì, andrebbe abolito perché non porta miglioramenti nella società. Su cento persone con una condanna superiore ai tre anni, l’ottanta per cento è recidivo. Invece, quelli che si impegnano presso enti e associazioni riescono a costruirsi una vita diversa”.

“Chiaramente, è una provocazione – continua Artale – lo so anche io che ci sono detenuti che devono stare in cella, ma io tifo per la certezza del recupero. Noi aiutiamo carcerati, ex carcerati e famiglie. Alcuni di coloro che abbiamo in carico lavorano presso un terreno che ci hanno donato a Santa Maria di Gesù. Coltivano gli ortaggi, badano al pollaio, alle pecore, ai maiali… Altri si occupano dei minibus per accompagnare i bambini di Brancaccio a scuola. Ma le istituzioni non pagano e così pure la speranza di reinserimento finisce. Capisco che situazioni come quella di Nicosia fanno scalpore, ma i volontari, che ci credono, sono puliti e devono continuare la loro attività”.

Perché perfino in carcere, nella polvere sotto il tappeto che non vogliamo guardare – a saperle distinguere – ci sono anime (con)dannate che meritano una porta socchiusa.


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