Nitto Santapaola “pericoloso” a 85 anni: la verità in un’intercettazione - Live Sicilia

Nitto Santapaola “pericoloso” a 85 anni: la verità in un’intercettazione

L’udienza e l'arringa dell’avvocato Carmelo Calì

CATANIA – “Gli devi mandare una foto con una bicicletta e due persone. Nitto Santapaola capirà”. Solo poche parole dette da solo a voce alta. Poche parole la cui spiegazione appare a dir poco enigmatica – e di certo lo è per chi non ha i mezzi per decodificarle – pronunciate riflettendo a voce alta dentro la macchina da Giuseppe Cesarotti, vecchio uomo d’onore del clan Santapaola-Ercolano. È questo l’indizio su cui si fonda la richiesta del Pm Fabio Regolo di applicare a Santapaola, 85 anni già compiuti, la sorveglianza speciale in caso di uscita dal carcere.

Uscita ipotetica che al momento non è imminente né programmata. E questo sembra un dato abbastanza certo, dato il numero di ergastoli presi da Nitto Santapaola. Oltre a essere uno dei capimafia più potenti della storia nell’area centro-orientale della Sicilia, è anche un famigerato assassino. E secondo la Procura di Catania il legame, tra lui e i picciotti del clan, non si sarebbe mai reciso.

Il boss e il mondo catanese

Sta di fatto che questo dato, ovvero l’ipotesi che esistano davvero ancora oggi dei collegamenti tra il boss al 41 bis e il mondo mafioso catanese, secondo la difesa è privo di alcuna conferma. A denunciare la mancata “conferma dell’indizio” è stato infatti ieri mattina l’avvocato storico di Santapaola, il penalista Carmelo Calì. Ieri il legale ha svolto la sua arringa nel procedimento che si svolge dinanzi alla sezione Misure di prevenzione del Tribunale, presieduta dalla giudice Maria Pia Urso. Il cuore dell’arringa riguarda proprio il monologo di Cesarotti.

Parlava “da solo”

Sarebbe questo, per la difesa, l’unico elemento su cui si fonda la richiesta di applicazione della misura di prevenzione personale. Cesarotti, sostanzialmente, stava parlando da solo. O meglio, si rivolgeva a qualcuno che avrebbe dovuto o potuto essere seduto in macchina nel sedile lato passeggero, dunque accanto a lui. Ma in macchina con lui non c’era nessuno. Quel sedile era vuoto.

L’indagine difensiva

Per questa ragione, il legale ha chiesto e ottenuto dal Tribunale l’autorizzazione a svolgere delle investigazioni difensive. Lo scopo è evidente: produrre in aula “ogni forma di comunicazione, verbale o epistolare, tra Santapaola e chicchessia”, così ha detto in aula l’avvocato Calì. Ma l’indagine ha avuto esito negativo. E questo perché il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, ha dichiarato che tali atti sono “non ostensibili”.

Il pericolo

Lo ha fatto, il Dap, ai sensi della legge che esclude il diritto di accesso agli atti laddove sussista “l’esigenza di salvaguardare la sicurezza e l’ordine pubblico” o di salvaguardare la “sicurezza e protezione del personale della pubblica amministrazione nonché dei detenuti”. A quel punto la difesa di Santapaola, sempre forte dell’autorizzazione del Tribunale alle indagini difensive, ha chiesto l’elenco dei nomi di tutti coloro che, sempre dal 2017 a oggi, hanno potuto incontrare a qualunque titolo Santapaola.

L’atto non è ostensibile

Un dato che sarebbe stato interessante a prescindere. Ma pure questo punto, per il Dap, non è atto ostensibile. E va precisato che la decisione del Dap rientra perfettamente nelle prerogative dipartimentali, giacché tale decisione riguarda la sicurezza delle persone e va salvaguardata a tutti i costi. Sta di fatto che non vi sarebbe conferma che quelle parole di Cesarotti abbiano prodotti qualunque genere di interlocuzione con Santapaola.

L’esito negativo dell’indagine difensiva

Non vi sarebbe conferma di qualunque, ancorché indiziaria, comunicazione tra Santapaola e l’esterno del carcere. La sua eventuale “pericolosità sociale”, per la difesa, dipende da questo. Per questa ragione, poiché l’indagine difensiva ha dato esito negativo e poiché non vi sarebbe conferma dell’indizio, la difesa ha chiesto il rigetto della proposta di sorveglianza. Ora i giudici sono entrati in riserva sulle richieste di misure di prevenzione e la scioglieranno entro i prossimi 90 giorni.

La richiesta di confisca

Va evidenziato che per quasi tutti gli altri “proposti”, la richiesta di misura di prevenzione riguarda la confisca di beni per un ammontare complessivo di 7,7 milioni di euro che la Dda di Catania ritiene riconducibili alla famiglia mafiosa. La Procura di Catania ha chiesto di congelarli e di farli passare nella disponibilità dello Stato. Il sequestro scattò nell’ambito dell’operazione del Ros denominata “Samael”.

La filiera del clan

I beni per l’accusa apparterrebbero a quella che le cronache hanno definito una sorta filiera del denaro sporco: soldi, imprese, affari illeciti maturati nel corso dei decenni, dagli anni ’70 in poi. Tra i “proposti” c’è anche Santapaola, tuttora al 41 bis, capostipite di una famiglia mafiosa che da quarant’anni detta legge negli ambienti malavitosi di mezza Sicilia; e suo nipote, alter ego, Aldo Ercolano. Santapaola è sempre stato presente, nel corso della procedura dinanzi alla sezione Misure di prevenzione, collegato in videoconferenza dal carcere dov’è detenuto al 41 bis.

I presunti prestanome

Ad ogni modo quei beni, ritenuti riconducibili al clan, in realtà materialmente non appartengono a Nitto Santapaola. Anche l’accusa ipotizza una riconducibilità, non una titolarità: avrebbe avuto dei prestanome. Sta di fatto che il suo legale, oggi, non si è soffermato sul punto. Nessuna argomentazione della difesa del superboss ieri ha riguardato la richiesta di confisca dei beni, che tecnicamente non riguarda neppure Santapaola ma gli altri proposti.


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