Noi che amiamo lo Zen - Live Sicilia

Noi che amiamo lo Zen

Non si può non volere bene allo Zen. Alla tanta gente luminosa e perbene dello Zen. A Fortunato, che ha perso un figlio dentro una curva maledetta. A Salvuccio, che col pallone ci sapeva fare, ed è morto e adesso ha solo la maglia dell’Inter a fargli compagnia in certe notti di scirocco. Son tremende le notti d’estate, quando senti la vita, quando la senti così forte che piangi al solo pensiero di lasciarla. Non si possono non amare le lacrime dei genitori di Calogero che guardano lassù, nel cielo azzurro tra i vicoli, per avere una risposta, per trovare qualcosa che ricordi il figlio, per immaginare che ci sia il tempo per un’estrema carezza. Non si può non amare Giuseppe, stroncato dal destino nel fiore dei suoi sogni. E la sua ragazza che di quei sogni era il sogno più bello e più profumato.

Non si può non volere bene alla gente che ha seguito stamattina una bara candida, con le lacrime, la banda, e tutto il dolore. Troppo dolore per un cuore solo. Per questo, i ragazzi hanno messo insieme i cuori di tutti. Per racimolare un unico grande cuore e giocarsi la partita dello strazio. Ciao Giuseppe, sei l’ultimo che se ne va tra le insule circondate da un cimitero stradale. Tutto intorno ci sono lapidi, fiori e sempre lacrime. Le croci ricordano i ragazzi dello Zen, quelli che finiscono sui giornali spesso per fatti non precisamente puliti. Quelli che seguono una bara bianca e ci dicono, con un semplice gesto, che non si può perdere la speranza del riscatto, nemmeno tra le fogne a cielo aperto e le pagine di cronaca nera. Non si può e non si deve smarrire la speranza, finchè l’amore grida tanto forte.


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