"Noi qui non giocheremo più" - Live Sicilia

“Noi qui non giocheremo più”

Dove giocheranno i bambini, ora che il dolore è entrato a gamba tesa? Il campetto di via Vincenzo Madonia - qui dove è morto Dario, forse rincorrendo un pallone – non c’è davvero. E’ un’astrazione infantile. Viaggio nella città che non ama i bambini.
La morte del piccolo Dario
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Dove giocheranno i bambini, ora che il dolore è entrato a gamba tesa? Il campetto di via Vincenzo Madonia – qui dove è morto Dario, forse rincorrendo un pallone – non c’è davvero. E’ un’astrazione infantile. Quelli che hanno più di dieci anni, a malapena riescono a intravvedere la porta, un cancello automatico in bianco e nero, largo così e alto un metro e qualcosa. Quando qualcuno prende la macchina nel parcheggio, il cancello si apre e si interrompe la partita. Bisogna rifare tutto da capo. L’incantesimo scatta con la fantasia. L’area di rigore potrebbe cominciare dove finisce il marciapiede. Non c’è un fondocampo da cui crossare. Per sopravvivere è necessario dribblare le macchine, come se fossero arcigni stopper. Una foto di Miccoli, dal centro scommesse vicino, benedice gli sforzi dei ragazzini che si scavano uno spazio con scarpette e pallone, con le unghie e con i denti, nella città che non li ama e non li accoglie.

Ovunque, non solo in via Madonia, il calcio clandestino dei bimbi, il campionato che si tenta per strada, è soffocato, strangolato, non tollerato. Gli slarghi disponibili sono sacche di resistenza. Un muro sgombro da prendere a pallonate è gioia pura. Va così a Palermo. I bambini devono perforare il granito dell’oppressione adulta. Sfidano le minacce dei guardiani dell’asfalto “ti tagghiu u palluni”. Oggi come ieri, coraggiose squadre di giovanissimi battono i quartieri palmo a palmo, in assolati pomeriggi di avventura.

C’è un bambino in via Vincenzo Madonia, qui dove – dicono – Dario è morto, mentre dava la caccia a un rimbalzo. Sta seduto su un bidone. Osserva i grandi che vengono a deporre un fiore alla memoria. E’ uno sguardo vero, da bambino. Racconta una perplessa curiosità. Com’è che il nostro campetto che non esiste è diventato un camposanto? Com’è che questa gente arriva qui con mazzi bianchi e gialli e con parole che somigliano al silenzio? Perché tutti sentono il bisogno di consolarsi? Perché mi accarezzano? Il bambino di via Madonia sta seduto sul bidone con pazienza. Avverte: “Fate il giro largo”. Perché? “Perché il mio amico è caduto qui dove c’è la macchia, è qui, non dovete passarci su con i piedi?”. Dario era tua amico? “Sì”. C’eri anche tu quando è successo? “No”. Un uomo di mezza età si segna la fronte con la croce. Infila la chiave. Il cancello automatico-porta si spalanca. “Signore, senta – sussurra il piccolo custode dei luoghi – quando esce con l’auto non passi sulla macchia a terra. C’è Dario. Stia attento”.

Alzi gli occhi e vedi una costruzione di cemento contro il cielo. Li abbassi. Tubi di scappamento, sterpaglie e spazzatura. Il piccolo custode mormora: “Non dovrebbe esserci così tanta munnizza”. Ma c’è. E’ una cappa che preme sulle urla di esaltazione per un gol, quando un tiro lambisce un incrocio dei pali che i passanti distratti nemmeno intuiscono. Cosa fanno i grandi? Cosa possono fare? Dopo avere imprigionato l’infanzia in questa Palermo senza finestre, ora, per Dario, provano una sofferenza che confina con il senso di colpa.

Restano, appunto, i riti dei grandi: i fiori da portare sul cancello, nella via vicina al Civico che pare uno dei minuscoli pianeti del Piccolo Principe, con la sua dolcezza e la sua assurdità. Accanto ai fiori ci sono bigliettini con una grafia dei dieci anni. Il saluto dei compagni di meraviglia. Caratteri tondi, da scuola elementare, in bella copia su antichi foglietti a righe. La morte è entrata gamba tesa. I bambini si organizzano per non darle partita vinta, come i gatti che fanno capolino e che sono i migliori e più comprensivi alleati nella resistenza degli innocenti. Su un fogliettino si legge: “Dario, sarai una farfalla sui capelli della tua mamma”. Il Piccolo Principe di via Madonia, seduto sul bidone, tocca la maglia del Milan appesa alla ringhiera. Dice addio alla strada che non sarà mai più la stessa. E’ un giuramento. Una maledizione che annichilisce la primavera: “Noi qui non giocheremo più”.


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