CATANIA – “Ci ritroviamo ancora una volta, nel decimo anniversario, a tornare in dietro con la memoria e raggiungere il litorale playa, esattamente alle prime luci dell’alba del 10 agosto 2013 quando dal mare un piccolo popolo camminava verso la riva. Il primo ad accogliere fu Dario Monteforte, titolare del Lido Verde, che apriva la propria attività con lo stupore della visita non di turisti, ma di gente stremata e, tra questi, c’erano purtroppo anche i corpi di sei giovani che non ce l’hanno fatta. Oggi facciamo memoria di quello sbarco, di quella gente, di quei sei giovani morti a pochi metri dall’Europa e lo facciamo guardando il mare, quel Mediterraneo che oggi fa memoria dei suoi figli che sono stati inghiottiti dalle onde, e lo fa come fosse una madre.
Mi viene in mente Rachele, figura biblica conosciuta nel libro della Genesi: “Una voce si ode a Roma, un lamento e un pianto amaro: Rachele piange i suoi figli, e non vuole essere consolata per i suoi figli, perché non sono più” (Gen 31,15).
Piangere come una madre è l’esatto contrario dell’essere indifferenti o addirittura dimentichi. Ecco perché tornare in questo luogo: perché è giusto e mantiene umano il nostro cuore.
Oggi come dieci anni fa è il giorno di San Lorenzo, e mentre le gente – soprattutto i più giovani – si preparano a passare la notte sotto le stelle noi riviviamo l’alba di quel 10 agosto 2013 segnata dall’avanzare dal mare di un popolo di gente stanca, provata dalle acque e dal vento, vogliosa di un’accoglienza umana che profumi di futuro.
Era gente comune quella accolta nel giorno di San Lorenzo 2013, quasi tutti egiziani. Avevano domande semplici come una vita sicura per i più adulti e la possibilità di studiare per i più giovani. Quest’ultimi erano veramente tanti su quell’imbarcazione.
Ricordo Ahmed, 13 anni, incontrato prima al porto di Catania e successivamente al Palazzetto dello Sport dove venne trasferito per una primissima accoglienza. Una donna di Sant’Egidio gli diede il benvenuto e gli chiese cosa si aspettava nel suo prossimo futuro in Europa e il giovane rispose: “Voglio andare a scuola e studiare senza che nessuno mi faccia male.” Successivamente, alzandosi la maglietta, mostrò una cicatrice sul petto causata da arma da taglio, inflitta senza motivo da due giovani durante le rivolte di piazza Tahrir ad El Cairo nell’anno precedente.
Ricordo anche Richy, ai tempi undicenne, figlio di un pescatore che intercettò in mare quel barcone diretto verso Catania. Quel padre, senza pensarci troppo, fece salire il giovanissimo figlio sull’imbarcazione carica di migranti nella speranza di regalargli un futuro in Europa.
Incontrai Riky anche qualche anno dopo, viveva vicino Catania e non aveva più un luogo dove vivere a causa della chiusura della struttura (un’ipab) che lo ospitava. Ha vissuto per un periodo presso la nostra casa e oggi ha un lavoro e vive con una brava ragazza italiana.
Sicurezza e istruzione, ma anche lavoro e salute sono esplicazioni del sentimento più nobile che è la Pace, quella che manca in tante parti del mondo e che è tornata a mancare, in modo impensabile fino a poco tempo fa, anche in Europa.
Da quella data e dal tragico evento che oggi celebriamo, ricordando particolarmente la morte di quei sei giovani egiziani – dei quali cinque minorenni – credo che si possa far partire la c.d. “stagione degli sbarchi”. Non che fossero mancati eventi analoghi in precedenza ma avevano sino a quel giorno interessato soprattutto piccoli centri poco raggiungibili dai media (quindi poco raccontati) come Lampedusa o Pozzallo.
Il 10 agosto lo sbarco avvenne a Catania – servita anche da un importante aeroporto internazionale – e, ricordo bene, la città venne raggiunta dalla stampa nazionale ed estera, tutti in ricerca di una testimonianza o di una storia da raccontare. Insomma fu una di quelle notizie che fece il giro del mondo.
Tristemente tante altre volte Sant’Egidio si trovò impegnata in Sicilia ad accogliere il corpo di chi è morto nella speranza di una vita migliore, nella ricerca di Pace.
Dopo il 10 agosto 2013, nello stesso anno avvenne uno degli sbarchi più drammatici del recente passato: quello avvenuto il 3 ottobre a Lampedusa dove persero la vita 368 persone – quasi tutte eritree – incidendo nella nostra memoria l’immagine dell’hangar che non ospitava aerei ma bensì le salme di chi non ce l’ha fatta e le lacrime dei 155 sopravvissuti.
Tanti sbarchi tragici, ma anche gesti e parole di consolazione come quelle del neoeletto Papa Francesco che, come prima uscita fuori dalle mura leonine, sembrò quasi preparare la popolazione siciliana ed europea colmando un vuoto anche di parole delle istituzioni nazionali e comunitarie.
Ero presente anche io quel giorno, e in quella visita storica a Lampedusa ricordo bene il gentile e commosso appello di Bergoglio rivolto al cuore dei presenti e di ogni europeo: “non succeda mai più, non succeda mai più per favore!”
Anche in questa giornata, dopo il tramonto, vivremo la notte di San Lorenzo e la tradizione ci suggerisce di esprimere un desiderio. Quest’oggi, con i piedi simbolicamente ben piantati non per terra ma nelle acque del mediterraneo, osservando le stelle con gli occhi di chi guarda l’Europa dal mare – magari su un barcone – esprimiamo il desiderio di un mondo più umano e accogliente.
Ma insieme, allo stesso modo, guardando al cielo affidiamo anche al Signore la vita di chi non c’è più, di chi è morto nella speranza di raggiungere una vita più sicura. Preghiamo inoltre per la vita di ogni donna e uomo, di ogni figlio, che in questo momento sono in viaggio in mare o nel deserto. Chiediamo al cielo e alle stelle in fine di restituirci il dono della Pace che gli uomini hanno poco custodito e capito in Europa e nel mondo”.