"Condannate a nove anni| il presunto estorsore" - Live Sicilia

“Condannate a nove anni| il presunto estorsore”

I pm Luise e Picozzi hanno chiesto la condanna per Salvatore Randazzo, detto "Razza tinta", con l'accusa di tentata estorsione aggravata ai danni di una macelleria di Sferracavallo. La titolare aveva riconosciuto l'imputato in una testimonianza drammatica.

Palermo, la richiesta dei pm
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Salvatore Randazzo

PALERMO – Nove anni di carcere per Salvatore Randazzo, soprannominato “Razza tinta”. E’ questa la richiesta dei pm Amelia Luise e Anna Maria Picozzi nel processo per tentata estorsione aggravata dall’agevolazione mafiosa ai danni dei titolari di una macelleria di Sferracavallo, celebrato di fronte ai giudici della quinta sezione penale del Tribunale di Palermo. Le richieste dei pm arrivano dopo un dibattimento accidentato che sarebbe dovuto giungere a sentenza già lo scorso aprile quando, dopo quattro ore di camera di consiglio, i giudici, a sorpresa, hanno riaperto l’istruttoria dibattimentale. Sono state, così, riascoltate le vittime e gli investigatori che avevano raccolto le loro denunce. In seguito al rifiuto a cedere alla richiesta di pizzo, era partito il walzer dei danneggiamenti: la colla attak nei lucchetti, un incendio, il taglio dei cavi elettrici che alimentano la cella frigorifera e anche un furto.

La donna titolare dell’attività oggetto delle presunte attenzioni di Salvatore Randazzo, arrestato nel 2009 in uno dei filoni dell’inchiesta “Eos” contro i clan mafiosi di Resuttana e San Lorenzo, lo scorso marzo aveva anche compiuto il riconoscimento formale in aula. La sua testimonianza era stata resa particolarmente difficile dalla presenza di un gruppo di persone che si sono prodotte in risatine e colpi di tosse simulata a sottolineare i passaggi più importanti della denuncia della donna. E, quando questa è uscita dall’aula, sono passati direttamente alle minacce a viso aperto. La sua deposizione, così, è risultata piena di contraddizioni quando non è parsa, addirittura, reticente, tanto da ricevere l’ammonizione da parte dell’accusa, pronta a contestarle di stare ritrattando le stesse dichiarazioni rese agli investigatori. “Il paese è pieno di questo discorso, è uscito sul giornale, c’era il mio nome” aveva provato a difendersi la donna che voleva evidenziare come l’arresto di Randazzo non derivasse direttamente dalle sue denunce. Per questa ragione il tribunale l’ha risentita a porte chiuse.

Cinque giorni quella testimonianza particolarmente travagliata, tra l’altro, la donna è stata vittima di una rapina violenta a casa di un’amica. Tre banditi, infatti, si sono introdotti in casa e hanno immobilizzate le due donne, portando via un cospicuo bottino, attorno ai centomila euro, fra contanti e gioielli. Ma le indagini non sono riuscite a dimostrare il collegamento fra la testimonianza e la rapina.

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