PALERMO – Negano di avere ucciso l’avvocato Enzo Fragalà. Antonino Abbate cerca di smentire la ricostruzione dell’accusa in uno dei punti chiave, mentre Francesco Arcuri si scaglia contro la credibilità di Francesco Chiarello. Davanti ai giudici della Corte d’assise i due imputati si sottopongono all’esame del pubblico ministero Francesco Mazzocco.
Dal telefono di Abbate, secondo i carabinieri, poco prima della brutale aggressione del 2010, partì la chiamata con cui rimproverava ad Antonino Siragusa, altro imputato, di non essere ancora giunto sotto lo studio del penalista in via Nicolò Turrisi. La cella telefonica agganciata dall’apparecchio di Abbate include il luogo del pestaggio, mentre Siragusa si trovava in via Roma. “Ci sentivamo per la riffa”, dice Abbate che non nega la telefonata, ma sostiene che stessero parlando della vendita degli ultimi biglietti per uno dei tanti sorteggi abusivi organizzati nei rioni popolati della città.
Arcuri se la prende con Francesco Chiarello, il pentito che ha fatto riaprire il caso Fragalà. Dice di non conoscerlo, lo sfida a dire quando e dove si sarebbe incontrati. Sostiene di non avere alcunché da temere. Per dimostrarlo ricorda che fu lui stesso a chiedere la perizia fonica su una conversazione nel corso della quale veniva accusato di avere pianificato il pestaggio con Siragusa e Salvatore Ingrassia. La perizia stabilì che i pochi secondi intercettati non potevano bastare a confermare o escludere che la voce registrata fosse quella dell’indagato. Se avesse avuto qualcosa da temere, sostiene Arcuri, non si sarebbe reso protagonista di un autogol.