Punto e a capo. I sei sospettati dell’omicidio di Antonina Giarrusso vengono scagionati dall’esame del dna e l’indagine fa retromarcia. Un giallo ancora senza soluzione quello della donna che in via Dante vendeva parrucche: il suo era l’unico negozio di questo genere a Palermo, e proprio nello sgabuzzino del locale è stata trovata dal marito in una pozza di sangue. In gola, conficcate un paio di forbici. Una scena terribile il cui autore resta al momento senza nome.
Uno degli ultimi sospettati, oltre ad essere stato scagionato dalle analisi sulle tracce di sangue trovate all’interno del negozio, è risultato inattendibile in seguito a una discrasia temporale dovuta a un incidente: a raccontarlo agli inquirenti è stata la figlia, che ha così fatto luce sulle dichiarazioni fornite dall’uomo alla polizia. Si tratta di un vicino, l’ex portiere di un palazzo di via Dante, che conosceva la vittima da trent’anni. Sosteneva di avere incontrato la Giarrusso e di averle parlato in un orario in cui, secondo i calcoli degli investigatori, ciò non poteva avvenire. E a dare forza a questa tesi sono state le immagini ricavate dai video delle telecamere installate in zona. Il vicino, infatti, viene visto transitare insieme al nipotino, in bici, in un orario molto distante rispetto a quello del delitto.
Ma l’assassino di Antonina Giarrusso, nelle ultime settimane, è stato cercato tra altre cinque persone, anche queste tutte escluse. Fra queste, il senzatetto che era stato fermato il giorno dopo l’omicidio e sottoposto al trattamento sanitario obbligatorio presso una clinica privata di Partinico: le indagini della Squadra mobile di Palermo, dirette da Carmine Mosca, e i magistrati coordinati dal procuratore aggiunto Maurizio Scalia, hanno infatti accertato la sua estraneità ai fatti e l’uomo è così stato dimesso. “Ripartiamo da zero – dice Cermina Mosca -. Stiamo nuovamente studiando i dati, i risultati delle analisi e accuratamente osservando i filmati. A questo punto, tutto, può essere rimesso in discussione”.