CATANIA. La squadra mobile di Caltanissetta, dopo 22 anni di indagini, ha identificato e arrestato 10 tra capi e gregari di Cosa Nostra di Niscemi, ritenuti a vario titolo esecutori e mandati dell’assassinio di Roberto Bennici e del tentato omicidio di Francesco Nanfaro, due affiliati alla Stidda niscemese, raggiunti dai killer il 23 ottobre del ’90 mentre erano seduti in un bar del paese. Le manette sono scattate per il boss Giancarlo Giugno, di 53 anni, e Rosario La Rocca, di 56 anni, inteso ”Saro Pacola”, entrambi pregiudicati di Niscemi, raggiunti da ordine di custodia cautelare in carcere emesso dal Gip del tribunale di Catania Alessandro Ricciardolo, su richiesta della Dda etnea. Agli altri otto imputati, in stato di detenzione, i provvedimenti restrittivi sono stati notificati in carcere. Si tratta di Salvatore Calcagno, 58 anni, di Niscemi; Giovanni Passaro, di 56, Giuseppe Tasca, di 40 anni, Pasquale Trubia, di 45, Emanuele Cassarà, di 42, Emanuele Iozza, di 51, tutti di Gela; Angelo Tisa, di 45 ani, e Salvatore Siciliano, di 48 anni, entrambi di Mazzarino.
L’omicidio di Roberto Bennici e il grave ferimento di Francesco Nanfaro avvennero nel corso della guerra di mafia tra Stidda e Cosa Nostra, in atto in quegli anni nella province di Caltanissetta e Ragusa, di cui Niscemi viene indicato dagli inquirenti “Crocevia Criminale”. Il commando di morte, fornito dalle famiglie del clan Madonia di Cosa Nostra, partì da un covo delle campagne di Acate, col compito di ammazzare chiunque incontrassero della famiglia stiddara dei Russo. A sparare sarebbe stato il pentito Angelo Celona, (che si autoaccusa dell’agguato) insieme con Francesco La Cognata e l’autista Emanuele Trainito, entrambi nel frattempo deceduti. Rosario Lombardo e Rosario La Rocca sarebbero stati i basisti, assicurando il supporto logistico e l’eventuale copertura. Con i restanti imputati (ritenuti mandanti), sono accusati di omicidio, tentato omicidio, associazione mafiosa, ed altro.
Il riepilogo dell’operazione: Erano i fratelli Vincenzo Rosario e Salvatore Russo, capi indiscussi della Stidda di Niscemi, i veri obiettivi del gruppo di fuoco fornito dalle famiglie gelesi di Cosa nostra, il 23 ottobre del 1990, “per fare un favore a Giancarlo Giugno”. Lo scrivono polizia e magistratura nel loro documento d’accusa. Si era in piena guerra di mafia tra i due clan opposti e i boss però risultavano irraggiungibili perché stavano barricati nelle loro case-rifugio. Celona, La Cognata e Trainito, partiti dal covo nelle campagne di Acate, avevano tuttavia la libera alternativa di uccidere ogni altro stiddaro che incontravano sulla loro strada. Facevano da basisti Rosario La Rocca e Rosario Lombardo (Saru Cavaddu) scomparso di recente. L’omicidio di Roberto Bennici divenne perciò quasi casuale. Su indicazione di Lombardo e La Rocca, i killer gelesi, armati di pistole, gli spararono alle spalle, mentre stava seduto al bar Sicilia, e ferirono gravemente l’avventore che gli stava di fronte, Francesco Nanfaro, anche lui stiddaro, che riuscì a guarire. Per quell’agguato, Angelo Celona avrebbe ricevuto anche un regalo dai capi: un orologio e dei soldi. Lo racconta il fratello Emanuele, collaboratore di giustizia. Sono otto i pentiti accusano Giugno di essere il mandate dell’omicidio di Bennici e del ferimento di Nanfaro. Tra i collaboratori di giustizia che ne descrivono il profilo criminale di boss di Cosa nostra, c’é anche il pentito storico, Leonardo Messina. Di Giancarlo Giugno riferisce le capacità di leader malavitoso, sicuro e intraprendente, assoluto padrone, all’inizio degli anni ’90, degli affari illeciti e pure del potere politico-amministrativo al comune di Niscemi, di cui era stato consigliere comunale nella lista della Dc. Il sindaco dell’epoca, Paolo Rizzo (Dc anche lui), era suo cognato e la carica di segretario comunale era ricoperta da un cugino degli Arcerito di Cosa nostra. Non si poteva permettere perciò alla “Stidda”, capeggiata dai fratelli Vincenzo, Rosario e Salvatore Russo, di mettere in discussione il proprio controllo del territorio. La guerra che si scatenò in quegli anni riguarda anche Gela, Vittoria e altri comuni del Nisseno e del Ragusano, con stragi, agguati mortali e ferimenti. Nel rapporto consegnato alla magistratura, la squadra mobile di Caltanissetta, guidata dal vice questore Giovanni Giudice, illustra la situazione di quegli anni e i delitti che a decine furono compiuti nelle città e nelle campagne.